Moda & fotografia
Italo Zannier
“Sull’importanza nel costume moderno del fotografo di moda siamo ormai tutti d’accordo – scriveva Giuseppe Turroni nel 1959, analizzando alcuni aspetti della fotografia italiana del dopoguerra –; siamo tutti d’accordo, data la grande rivoluzione formale apportata nelle società progredite dall’imperante matriarcato...”. Ma la “fotografia di moda” s’era avviata spontaneamente, ben prima dell’“imperante matriarcato”, con Daguerre persino, e poi decisamente con Disderi, nel cui guardaroba si trovavano vestiti e suppellettili per tutte le ambizioni oltre che per tutte le taglie. Nadar badava all’espressione del viso, alla vivacità degli occhi, mentre Disderi s’abbandonava al rito lusinghiero del ritratto narcisistico e, piuttosto che sul volto, puntava sull’effetto fotogenico del vestito e degli “ornamenti”, ossia degli “accessori che ornano il ritratto e distraggono il contemplatore dalla persona raffigurata”, come ha osservato Gisèle Freund.
La “moda” serve infatti ad attribuire un ruolo sociale all’individuo, a “distinguerlo”, oggi nella massa e per grandi categorie, piuttosto che singolarmente, nonostante i tentativi stravaganti, di “diversificazione”, che spesso fanno però si annullano proprio nel fare scuola, e diventano nuovi stereotipi, in un ciclo senza fine, che però alimenta un gratificante business globale gigantesco.
Con questo dossier, dedicato alla fotografia della moda, non si intende farne la storia, ma suggerire un breve itinerario in questo settore dell’immagine, che attualmente occupa uno spazio rilevante del fotogiornalismo, con una editoria e una pubblicistica, che è anche giustificata dal grande mercato della moda, in tutti i suoi aspetti indotti, per tutti i gusti, se non proprio per tutte le tasche.
Anche le cartes-de-visite di Disderi (dal 1854 in poi) sono “fotografie di moda”, come in seguito quelle del rito domenicale, con la famigliola vestita a festa, in processione dal fotografo per il souvenir. Dinanzi al fotografo con l’abito buono, il cappello a larghe tese, il gioiello, l’ombrello, la sigaretta tra le dita, che fu a sua volta status symbol, nell’era contadina, rispetto alla pipa o al sigaro popolare.
I Grandi Magazzini, già negli anni Venti si dedicano a questo nuovo commercio, che s’amplia e decolla in coerenza con la società piccolo borghese, mentre nascono giornali che offrono in rubriche o in toto “la moda”, non soltanto quella irraggiungibile di “Vogue”, ma già il pret à porter magari con i “figurini” in carta da ritagliare, per la sarta del quartiere; purché fossero “alla moda”.
Il barone de Mayer, con Steichen e poi Man Ray, in Italia Luxardo o Ghitta Carell, sono stati tra i primi a offrire esempi di moda mediante una grande fotografia, moda per se stessa, che occupa un capitolo significativo della storia di questo genere d’immagine.
In effetti, sono autori come Cecil Beaton o Richard Avedon che hanno creato, con la loro immaginazione estetica, “la moda”, offrendo fondamentali modelli di bellezza fotografica, quella che infine veicola ed esalta ogni creazione; lo stilista ha necessità del fotografo, come della matita e delle forbici, e se il fotografo è grande, anche il prodotto sarà sublime (o perlomeno tale sembrerà).
Photo by Wowe
Wolfgang Wesener, eccezionale fotografo della moda, di origine tedesca, da alcuni anni si è stabilito nel Veneto.
Il suo archivio comprende oltretutto una serie di intensi ritratti dei maggiori stilisti contemporanei, dei quali presentiamo una emblematica selezione.