2002 - Fotostorica 21/22 Dicembre 2002 Dossier: Per una tutela del patrimonio fotografico sulla Grande Guerra

 
 
 
 
 
 
 
Allegoria della pace Giugno 1916

PRODROMI DELLA FOTOGRAFIA DI GUERRA Louis Olatiz
PICCIONI VIAGGIATORI IN GUERRA Italo Zannier
EDOUARD DELESSERT E IL CALOTIPO Mauro Rombi
ZAVATTINI CENTO ANNI Italo Zannier
FONDI FOTOGRAFICI SCOLASTICI Sara Filippin
FOTOGRAFIA DI ATELIER NELL'ALPE ADRIA FIN DE SIECLE Beatrice Rossetto
ASTE DI FOTOGRAFIE Mario Trevisan
DAL FONDO ARTISTICO DELLA BIENNALE DI VENEZIA Adriana Scalise
MANFREDO MANFROI. UNA LAPIDE PER PAOLO MONTI
BENEDETTA BONICHI, TRASPARENTI OMBRE

 

 

 

 


 

 

REGIONE DEL VENETO Assessorato alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta

PROVINCIA DI TREVISO
PROVINCIA DI BELLUNO
PROVINCIA DI VICENZA
In collaborazione con:
Comune di Alano di Piave (BL)
Comune di Vittorio Veneto (TV)
Comune di Valdagno (VI)
Comune di Vicenza
Prefazione
Flavia Colle Assessore alla Cultura della Provincia di Belluno
Marzio Favero Assessore alla Cultura della Provincia di Treviso
Tonino Assirelli Assessore alla Cultura della Provincia di Vicenza

Ha senso che la Regione e le Province venete si occupino ancora, con iniziative proprie, della Grande Guerra, a così grande distanza di tempo? Tanto più oggi, che si è sedimentata una autorevole produzione storiografica, a disposizione degli studiosi e degli interessati, mentre tacciono ormai le voci dei protagonisti diretti e gli stessi “ricordi” dei familiari loro discendenti si riducono più alla conservazione di alcune testimonianze materiali – fotografie, documenti, medaglie al valore, ecc. – che di testimonianze orali.
Ben altre sembrerebbero le urgenze, anche sul piano culturale, di cui gli Enti locali dovrebbero farsi carico. Urgenze più quotidiane, ovvero – il che è lo stesso – da “quotidiano”, poiché viviamo in un presente perpetuo, che ha dimenticato il passato, anche prossimo, e non si cura del futuro.
Il che è un peccato, perché la comprensione e la gestione dell’oggi, al fine di costruire un futuro migliore, richiede l’esercizio della memoria circa i percorsi che proprio all’attuale presente hanno condotto – e non ad un altro, fra i possibili presenti immaginabili.
E dalle tristi e luttuose vicende della Grande Guerra – che fanno del Veneto uno dei luoghi sacrali della memoria collettiva Europea – deriva un “sapere” attualissimo, per molti versi. Fra le altre cose sottolineiamo tre direttrici di riflessione.
In primo luogo, come molti storici e giuristi hanno rilevato, la Grande Guerra – dopo secoli di conflitti in forma statuale, disciplinati dal diritto internazionale europeo e pertanto riconosciuti “giusti” per la pari dignità dei contendenti, non perché lo fossero in se stessi – reintrodusse il concetto di “guerra giusta” sul piano ideologico, che richiede l’eliminazione dell’avversario con qualunque mezzo. Una concezione della guerra che, raggiunto l’equilibrio del terrore su scala planetaria fra i blocchi degli Stati, apre le porte a quella forma diversa e trasversale di guerra che porta il nome di “terrorismo”, con cui adesso facciamo dolorosissimamente i conti.
In secondo luogo, – a livello locale veneto – la Grande Guerra fu “totale” perché coinvolse la stessa popolazione civile. Il profugato vissuto da una parte della nostra popolazione, le violenze dirette ed indirette subite da coloro che erano rimasti nelle zone di occupazione, la distruzione del patrimonio artistico abitativo ed infrastrutturale, il nuovo ruolo assunto dalle donne non solo a livello di economia domestica, segnarono profondamente la storia della nostra Comunità, facendo saltare secolari rapporti di lealtà sociale fra i ceti e assicurando una nuova consapevolezza a quelli popolari.
In terzo luogo, fra le novità del primo grande conflitto tecnologico vi fu anche quella legata al controllo dell’informazione nei mass-media (i giornali e le riviste, allora). E il presente dossier ne rende conto, portando alla luce una straordinaria selezione di documenti fotografici ove si trovano testimoniati gli aspetti più crudi del conflitto, che non potevano trovare spazio della comunicazione ufficiale dell’epoca. La vicenda legata all’uso di quel materiale pone degli interrogativi imbarazzanti ed attualissimi sulla veridicità dell’informazione – ancor oggi – in tempo di guerra. Peraltro, le fonti iconografiche proposte nel presente Dossier richiamano l’attenzione su due altre questioni: il valore estetico e documentario della fotografica e il problema urgente della salvaguardia e valorizzazione dei fondi fotografici di valore storico.
Un grazie sincero va alla Regione Veneto e alle Istituzioni Museali che hanno reso possibile questa pubblicazione, dimostrando di credere nel progetto di “messa in rete” dei luoghi della Grande Guerra che le tre Province di Belluno, Treviso e Vicenza da tempo stanno portando avanti con una intesa che è nostro auspicio possa trovare l’adesione di molti altri soggetti pubblici e privati.

 

Per una tutela del patrimonio fotografico veneto sulla Grande Guerra
Ermanno Serrajotto Assessore alle Politiche per la Cultura, all’Identità veneta e l’Istruzione

Gli anni vissuti dal Veneto quando sulla sua terra furono combattuti tra gli episodi più cruenti della prima guerra mondiale del nostro secolo hanno lasciato tracce non solo nel corpo e nella memoria di molti soldati, ma anche in molti luoghi che non si limitano ai più conosciuti scenari delle battaglie.
Basta, infatti, attraversare alcune piazze del Veneto per imbattersi in monumenti commoventi che ricordano cittadini caduti per una guerra che li ha fatti diventare, loro malgrado, protagonisti sconosciuti della storia d’Italia.
Penso, poi, a quel ricco bagaglio di suoni e di parole che ha riempito le canzoni che sostenevano i nostri battaglioni con la forza della fede in un ideale patriottico o nell’amore malinconico per la compagna lasciata a casa. Penso, infine, al ricco patrimonio sommerso di ricordi che certamente ancora in molte case riposa in fondo ai cassetti: fotografie, lettere, divise e oggetti lasciati da nonni e bisnonni che hanno fatto la guerra e che restano a volte unica eredità di un tempo segnato dal dolore, ormai lontano.
Ecco, se solo ci fermiamo per un momento a pensare a questa fitta trama di ricordi che attraversa i diversi luoghi possibili che possano custodire la nostra memoria storica ed umana, disseminati nella nostra regione, dalle montagne alla casa privata passando per i musei, ci rendiamo conto della reale misura dell’impegno a cui siamo chiamati quando l’istituzione pubblica deve farsi carico della conservazione di quel ricco e così differenziato patrimonio.
La memoria della Grande Guerra , è dunque evidente , non è solo quella che si ritrova ancora oggi nei segni che hanno inciso nel nostro paesaggio: i forti, i camminamenti, le trincee, le gallerie, i cimiteri.
Ma quei luoghi sono all’origine della vicenda tragica del conflitto: si tratta di un grande museo all’aperto che, proprio per tale condizione, è soggetto al pericolo della distruzione ad opera di difficili stati climatici e, purtroppo spesso, di uomini irrispettosi di quella tragedia. Per tale motivo la prima azione della Giunta regionale veneta si indirizzò nel 1997 alla tutela, promovendo con la legge n.43 “interventi per il censimento, il recupero e la valorizzazione di particolari beni storici, architettonici e culturali della Grande Guerra” inseriti in contesti ambientali di particolare rilevanza naturalistica. Per essere così specificamente dedicata a questo aspetto del nostri patrimonio storico, questa legge è stata la prima ad essere emanata in Italia: è la testimonianza di quanto il tema stia a cuore alla Regione Veneto.
Più recentemente abbiamo trovato nella Provincia di Treviso un partner sensibile, che si è fatto instancabile promotore di una serie di iniziative che hanno saputo coinvolgere le principali province nelle quali si è svolto il conflitto. Dapprima l’intesa tra le amministrazioni provinciali di Belluno, di Vicenza e di Treviso per far creare le premesse di un sistema museale tematico, quindi l’azione di salvaguardia nei confronti della documentazione fotografica conservata nei musei veneti e i cui esiti sono oggetto di questa pubblicazione.
Avendo avuto costante prova della passione e del metodo che anima i diversi amministratori e studiosi coinvolti, in varia misura, in tutti questi progetti non posso che auspicare la più capillare diffusione di questo numero speciale della rivista FOTOSTORICA, che la Regione ha voluto sostenere proprio per divulgare le tappe di un processo conoscitivo nei confronti della Grande Guerra fino ad oggi percorse. Esse sono il frutto di un intenso lavoro che ha saputo intrecciare competenze scientifiche alla capacità propria degli enti territoriali di “fare sistema” di volontà politiche.
Se la lettura di questo dossier solleciterà più di una persona e più di una istituzione, sia essa pubblica che privata, a voler entrare a far parte di quel lavoro, anche solo consegnando un oggetto conservato nel cassetto di casa o stanziando nel bilancio una piccola somma per il restauro di un fondo fotografico, credo che questo sarà il premio migliore per la fatica raccontata in queste pagine.

Un’azione culturale per valorizzare la storia della Grande Guerra: l’impegno della Regione Veneto
Angelo Tabaro Direttore generale della Direzione Cultura, Regione del Veneto

AI di là del costante sostegno dato alla pubblicistica che ha per qggetto storie, documenti ricordi legati alle tragiche vicende della Grande Guerra vissute nei nostri territori, intorno a questo tema da alcuni anni la nostra regione ha voluto definire un complesso di azioni istituzionali, che trova la sua origine nella legge n.43 varata nel 1997 per disporre interventi per il censimento, il recupero e la valorizzazione di particolari beni storici, architettonici e culturali della Grande Guerra. Con questo provvedimento, che ha anticipato la politica di tutela espressa dallo Stato con la legge n. 78 dei 7 marzo 2001, è stata avviata un'azione conoscitiva nei confronti di beni immobili che documentano la presenza di eventi bellici: tra il 1998 e il 1999 sono state, infatti, condotte due campagne di catalogazione che hanno coinvolto i territori di dieci comunità montane (Sette Comuni, Alto Astico e Posina, dall'Astico al Brenta, Leogra Timonchio, Agno Chiampo, Feltrina, Brenta, Grappa, Centro Cadore, Comelico, Sappada). Il lavoro, oltre al suo interesse per la raccolta di informazioni su beni estesi quali strade, gallerie e trincee, e di dati cartografici ed architettonici (che ha prodotto 1275 schede, oggi consu lt abili sul sito "www.regione.veneto.it"), ha avuto valore per il fatto di aver promosso, in assenza di una specifica scheda statale, la definizione di un metodo catalografico adatto a comprendere nella sua completezza la differenziazione di questo tipo materiale. A questo proposito, mi piace qui ricordare un esito importante di quel processo di decentramento amministrativo che, avviato proprio nel 1997, ha portato Stato, Regioni ed Enti locali a condividere sin dai metodi di rilevamento i percorsi di conoscenza dei nostro patrimonio storico e culturale: penso a quanto disposto dal decreto legislativo n.112 dei 1998 che alla lettera "E" del comma 4 dell'art.149 nel definire tra le funzioni e i compiti dello Stato prevede la definizione, anche con la cooperazione delle regioni, delle metodologie comuni da seguire nelle attività di catalogazione, anche al fine di garantire l'integrazione in rete delle banche dati regionali e la raccolta ed elaborazione dei dati a livello nazionale. Tale disposizione è stata recepita all'art.143 della L.R.11 dei 2001 nel cui capo IV riservato ai beni e alle attività culturali viene precisato come questo aspetto della cooperazione coinvolga anche altre regioni (comma 2, lett f) ma, soprattutto, consenta di realizzare 'direttamente o in collaborazione con gli enti locali il censimento, l'inventariazione e la catalogazione dei beni culturali per implementare le banche dati regionali in un sistema integrato di reti e sistemi ínformativi".
La collaborazione dello Stato in questo settore (sancita, altresì, a livello nazionale dalla sottoscrizione nel febbraio 2001 di un accordo di programma tra il Ministero per i beni e le attività culturali e le regioni) è stata per noi importante al fine di predisporre un modello di scheda specificamente pensato per i beni immobili diffusi della Grande Guerra, ma fondamentale è stata la cooperazione offerta dagli enti locali che si sono proposti alla nostra attenzione in qualità di promotori di un'azione culturale articolata su più piani di intervento. Credo sia importante sottolineame l'attributo culturale., tale azione, infatti, con gli strumenti propri della ricerca scientifica (la catalogazione, il restauro, l'ordinamento museale, l'allestimento espositivo e via elencando) ha voluto restituire al pubblico non solo i segni della Grande Guerra, ma anche il valore di quella memoria. Duplìce, dunque, l'approccio che ha guidato tale azione: tutela e salvaguardia dei documento e valorizzazione della memoria. Ampia l'attenzione riservata all'utenza finale di questa azione, gli studiosi e gli storici di settore, direttori e conservatori di musei, le scuole, gli appassionati ed i collezionisti, le amministrazioni. In quest'ottica la Regione ha trovato con la Provincia di Treviso una felice formula di collaborazione, tale da permettere di sentirci parte attiva nelle azioni di conservazione dei beni culturali in un momento in cui in altri contesti giurisprudenziali si dibatte sulla titolarità piena o concorrente della tutela. La Provincia di Treviso sul tema della conoscenza a più voci del primo conflitto mondiale ha saputo mettere in campo investimenti economici e competenze scientifiche, coagulando idee, persone e mezzi. Grazie a questa amministrazione la Regione è entrata in questo circolo virtuoso. con particolare riguardo ai musei, nel loro compito fondamentale di istituzioni preposte alla conservazione, ha contributo all'intesa interprovinciale tra Belluno, Treviso e Vicenza sostenendo uno studio di fattibilità per il potenziamento di un programma informatico di catalogazione dei materiali di varia natura conservati e, quindi, al progetto di salvaguardia dei patrimonio fotografico della Grande Guerra che abbiamo voluto valorizzare con il sostegno a questa edizione speciale della rivista FOTOSTORICA curata dal Foto Archivio Storico Trevigiano. Il giro di quel circolo virtuoso non è ancora completato: l'obiettivo è quello di giungere a far emergere (prima che realizzarlo) il profilo di un sistema museale territoriale della Grande Guerra. La recente pubblicazione, da noi promossa, della guida ai 'Musei storici e della Grande Guerra dei Veneto" ha già in parte contribuito a segnare, con la presenza di oltre 40 musei, la dimensione di quel profilo. Resta, ora, la necessità di unire progetti e idee, anche provenienti dalle diverse espressioni della società civile, alle volontà politiche e alle capacità amministrative di realizzazione.

 

Il Museo Storico di Alano
Luigi Codemo Sindaco diel Comune di Alano di Piave (BL)

Il Museo Storico di Alano nasce da un'iniziativa del Maestro Cristiano Codemo, grande appassionato della storia locale. L'idea fondamentale era quella di raccogliere e conservare le testimonianze relative alla Prima Guerra Mondiale, che rappresenta l'evento storico che, più di ogni altro, ha segnato profondamente e tragicamente la gente ed il territorio di Alano di Piave.
Fin dall'inizio degli anni settanta, con la collaborazione di alcuni volontari del paese e dell'Associazione Nazionale Combattenti e Reduci iniziò il lavoro di raccolta di cimeli e della documentazione.
Gran parte del materiale fu donato al museo dai cittadini di Alano e delle sue frazioni che da sempre hanno raccolto e conservato i materiali e la documentazione della Grande Guerra. Va segnalato tra l'altro che molti alanesi hanno esercitato per tanti anni, soprattutto nel secondo dopo guerra, la professione precaria e rischiosa del "recuperante". Il museo che ha ora assunto la denominazione di Museo Civico Storico Territoriale di Alano di Piave, tra i tanti cimeli e testimonianze storiche, ha il pregio di custodire anche un importante Fondo Fotografico relativo alla Grande Guerra, raccolto grazie alla sensibilità ed alla disponibilità di diversi privati cittadini. Esso documenta soprattutto la distruzione subita negli anni 1917 e 1918 dal nostro territorio ed è per questo una testimonianza preziosa per la memoria storica della nostra comunità
Molte immagini documentano ed evidenziano i danni e la distruzione di tutti gli edifici e le abitazioni del centro storico di Alano, delle sue contrade (ad es. la contrada Faveri, e San Vittore) e delle frazioni (Campo, Fener, Colmirano, ...), altre invece i danni e le distruzioni subite dalle chiese con il proprio patrimonio artistico, come l'asportazione delle campane dalla torre campanaria, o i danni subiti dal battistero che, distrutto, non fu più ricostruito.

L’Archivio Fotografico del Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza
Mauro Passarin Direttore del Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza

Del grande patrimonio documentario delle Civiche Raccolte storiche del Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza, una parte importante, anche se quantitativamente modesta, è occupata dall'Archivio Fotografico, archivio che raccoglie immagini quasi esclusivamente legate agli avvenimenti del Primo Conflitto Mondiale.
In un Istituto che conserva nella biblioteca e nei depositi fondi manoscritti, pubblicazioni a stampa, periodici, giornali, ritratti, dipinti, stampe, libri e proclami, decreti, atti privati, monete e medaglie, decorazioni, carte geografiche e militari, armi bianche e da fuoco, uniformi, bandiere, oggettistica militare e di vario genere, l'Archivio Fotografico della Grande Guerra costituisce un corpus tra i più richiesti e consultati. Questo Archivio costituisce sostanzialmente l'insieme di due importanti raccolte appartenute ad alti ufficiali dell'Esercito Italiano. Si tratta di un fondo che corrisponde a due grandi filoni di proposta: la fotografia dei protagonisti" che coglie l'intento di far vedere quella realtà di guerra, vedere come proprio loro vi si vedevano e volevano farsi vedere, e la fotografia per "fini strettamente militari".

Un Centro di Documentazione presso la Biblioteca di “Villa Valle” in Valdagno
Giorgio Trivelli Assessore alle politiche culturali, Comune di Valdagno

L'iniziativa promossa dalla Regione Veneto e dal F.A.S.T. della Provincia di Treviso sui documenti fotografici della Grande Guerra punta concretamente a realizzare una importante finalità culturale, e al progetto di costituire questa grande banca dati regionale il Comune di Valdagno aderisce con piena convinzione, mettendo a disposizione il proprio patrimonio di immagini che testimoniano eventi ancora profondamente impressi nella memoria collettiva della Città e negli stessi territori della Valle dell'Agno, così vicini al teatro di alcune operazioni belliche risultate poi decisive per le sorti del conflitto.
Si tratta per la maggior parte di materiale documentario proveniente dal Fondo Ugo Nizzero e donato al Comune dalla famiglia di un valdagnese, oggi scomparso, che nella sua lunga esistenza andò raccogliendo con scrupolo e passione un'impressionante quantità di carte, oggetti, cimeli e, appunto, fotografie, del periodo relativo alla prima guerra mondiale.

Il nostro intento è di creare un punto di raccolta, di conservazione e di consultazione presso la biblioteca civica cittadina, dove il pubblico possa, attraverso un archivio bene ordinato e facilmente accessibile, non soltanto venire a contatto con queste preziose testimonianze del passato, restaurate, catalogate, riprodotte, ma anche essere stimolato a ricercare, a propria volta, dell'altra ulteriore e analoga documentazione, la quale certamente, custodita ancora tra i ricordi di molte famiglie della Valle, potrebbe trovare la via per diventare un bene di tutti.

 

Il Museo della Battaglia di Vittorio Veneto
Luigi Marson Direttore onorario del Museo della Battaglia di Vittorio Veneto

Il Museo trae origine dalla passione di un uomo, il dott. Luigi Marson, ragazzo del '99, combattente del 20 reggimento granatieri, il quale con dedizione e lungo, paziente lavoro per tutta la vita raccolse oggetti, documenti, ricordi, quali testimonianze della Prima Guerra Mondiale.La collezione ebbe inizio con una data e con un oggetto-testimonianza ben preciso:una corona del rosario con una medaglietta della Madonna e lo stemma di Santo Stefano che il dott. Marson, mio nonno, il 17 gennaio 1918 trovò fra le mani di un soldato ungherese degli Honvéd, morto sui campi di battaglia di Capo-Sile.
Nel 1936 il dott. Luigi Marson decise di donare la sua collezione alla città di Vittorio Veneto: venne quindi allestito il Museo della Battaglia, che fu inaugurato alle ore 14 del 2 novembre 1938, in occasione delle solenni celebrazioni per il ventennale della Vittoria. Attualmente più di due terzi del materiale conservato nel museo proviene dalla collezione del dott. Marson.
Fra il materiale raccolto da mio nonno numerosissime le fotografie e le diapositive su vetro. Il Museo della Battaglia di Vittorio Veneto nel 1978 acquisì anche un 'importantissima collezione di foto e di diapositive su vetro, quella raccolta da Luigi Marzocchi, uno dei primi e più significativi operatori del Reparto Fotografico del Comando Supremo Italiano. Tale raccolta, comprensiva di migliaia di foto e di oltre mille diapositive stereoscopiche su vetro, molte eseguite dallo stesso Marzocchi e da lui commentate, venne donata dalla figlia Maria Emma Marzocchi Diamanti.

Per un ecomuseo della Grande Guerra
Luca Baldin Direttore della Fondazione Giuseppe Mazzotti per la Civiltà Veneta

La comparsa nel documento ministeriale sui cosiddetti "standard" museali (D.M. 25.07.2000) di un capitolo (l'ambito VII) dedicato al "rapporto con il territorio", rappresenta il primo riconoscimento ufficiale di un'originalità assoluta dei sistema Italia rispetto ad altri sistemi museali. Se, come ha recentemente sottolineato il Soprintendente Guglielmo Monti (V Conferenza Regionale dei Musei dei Veneto), le scuole di pensiero moderne circa l'istituzione museo sono due: quella dei museo istituto, forziere di una storia costruita per eccellenze da un canto, e quella dei 'Museo diffuso', più recente, ma che identifica nel territorio il bene da tutelare e pertanto sostiene la contestualizzazione dell'opera o del reperto; ebbene, sempre più, in Italia, la barra dei l'orientamento degli addetti ai lavori sembra orientarsi a favore di quest'ultima. E sembra la cosa più logica, dal momento che è la stessa natura dei nostro patrimonio storico ed artistico a richiederlo, distribuito com'è capiliarmente, con istituzioni di dimensioni modeste che mai e poi mai potrebbero fare a meno di rimandare a quanto nel territorio trova ancora posto. A ciò va aggiunto che nello stesso lasso di tempo è divenuta oramai consapevolezza dei più che il sistema gestionale dei patrimonio memoriale italiano è al collasso, e che la pur incrementata spesa a suo favore da parte delle istituzioni pubbliche non è in grado di garantire il mantenimento (o più spesso il raggiungimento) di standard minimi di funzionamento. Al punto che, qualora si volesse assumere come discrimine per l'inserimento in un elenco ideale dei musei italiani, una qualsiasi delle definizioni di museo dei panorama internazionale (quella dell'ICOM per esempio), la stragrande maggioranza dei cosiddetti ,musei' italiani ne rimarrebbe desolatamente fuori. Da queste considerazioni di base è partito nel 2000 un progetto condotto dal sottoscritto e dal dott. Mauro Passarin (Conservatore dei Museo dei risorgimento e della resistenza di Vicenza) che aveva come oggetto i musei e le collezioni della Grande Guerra dei Veneto, e che ha coinvolto a più riprese le amministrazioni provinciali di Treviso, Vicenza e Belluno, nonché quella regionale. Il presupposto dei progetto era la presenza nel territorio di numerose situazioni espositive nonché di aree ad altissimo valore documentale dei fatti e degli eventi legati al primo conflitto mondiale. Una 'costellazione' fatta di realtà tra loro fortemente eterogenee per proprietà, tipologia, struttura delle collezioni, dotazioni tecnico-scientifiche, ma accomunate da un interesse crescente dei pubblico e da una contiguità territoriale data dal loro collocarsi in prossimità o lungo la linea dei fronte. Tutto ciò costituiva in linea teorica il presupposto ideale per tentare la creazione di un sistema territoriale integrato (ecomuseo tematico) in grado di offrire sicuro beneficio ad ognuna delle realtà esistenti e tale da supplire, per 'condivisione
delle competenze', alle singole oggettive carenze oggi, spesso, limiti insormontabili per uno sviluppo apprezzabile di ognuna di esse. Si trattava in buona sostanza di un campo applicativo ideale per un sistema 'a rete' che - pur nel rispetto delle singole autonomie - fosse in grado di stimolare un processo di riorganizzazione e di integrazione volto all'ottimizzazione delle risorse e al miglioramento dei servizio. Fin da una primissima analisi è apparso chiaro che ad esclusione di alcuni Musei di medie dimensioni, che potevano ambire ad essere i baricentri potenziali dei sistema (Vicenza, Vittorio Veneto), la disiocazione e le dimensioni, nonché la tipologia organizzativa delle istituzioni museali coinvolte, rendevano tali realtà assi più vicine alla logica dei 'centri visitatori' dei parchi tematici che a quella di veri e propri musei. A differenza dei centri visitatori erano tuttavia carenti di informazioni che rimandassero al territorio contiguo, connotandosi quindi come ibride accumulazioni di materiali e testimonianze, incapaci di assolvere al compito loro assegnato di custodi della memoria storica di un evento di portata decisamente straordinaria. La struttura proprietaria varia e non sempre corrispondente con la responsabilità della gestione, tendeva inoltre a sfavorire le forme di collaborazione istituzionale; mentre la spiccata vocazione turistica dell'area, centrata sui tre bacini della riviera adriatica (area dei Piave), degli altopiani vicentini e dell'area dolomitica, imponeva ed impone un'offerta meno casuale, occasionale e volontaristica. A scoraggiare un adeguamento alle mutate esigenze stava, lo si è detto, la modestissima dimensione media delle realtà coinvolgibili, che come effetto perverso tendeva e tende a scoraggiare l'assunzione di personale specializzato, quanto mai necessario viceversa per generare un salto di qualità auspicabile, e di conseguenza rendeva e rende impossibile l'adozione di metodologie di lavoro fondate sulla professionalità (catalogazione, conservazione, valorizzazione, promozione).

 

La fotografia nel conflitto
Tutti gli eserciti impegnati nel conflitto impiegano reparti foto-cinematografici e utilizzano la fotografia aerea (da aerei, dirigibili e palloni frenati) e panoramica (anche di grande formato, ottenuta con la rotazione di fotocamere con obiettivi speciali) per il riconoscimento del territorio e per l'individuazione degli obiettivi militari dell'avversario.
Oltre che per fini strettamente operativi, la fotografia documenta la produzione di armi e proietti e la vita stessa di comandi e reparti impegnati in servizi, attività e operazioni militari, tutte immagini largamente utilizzate sulle pagine dei giornali illustrati e nelle tantissime immagini della propaganda a uso e consumo delle popolazioni dei paesi belligeranti.
In Italia, dopo un inizio piuttosto incerto dovuto al ritardo con cui il Paese entra in guerra (la guerra con l'Austria-Ungheria viene dichiarata il 23 maggio 1915), in cui viene data maggiore libertà a giornalisti e operatori privati, dall'inizio del 1916 il Comando Supremo sviluppa reparti foto-cinematografici affidati alle diverse armate e corpi dislocati lungo il fronte.
L'attività di tali reparti, che nel 1918 impegna oltre seicento operatori, si concretizza nel corso del conflitto nella produzione di circa 150 mila tra lastre e negativi e numerose pellicole riguardanti la minuziosa documentazione delle operazioni militari e della vita di guerra di comandi e reparti dell'esercito schierato al fronte e nelle retrovie.

La fotografia ufficiale sulla stampa
Una volta superato il necessario filtro della censura militare che opera a stretto contatto con i vertici del Comando Supremo, una consistente parte (alcune migliaia) delle immagini di produzione per così dire "ufficiale", viene autorizzata a comparire sulle pagine patinate dei tanti giornali illustrati popolari (molto diffusi, all'epoca, settimanali come "La Domenica del Corriere" e l'accurata e più costosa "L'Illustrazione Italiana") che portano le immagini edulcorate e rassicuranti della guerra nelle famiglie italiane.
Soprattutto la censura secreta le fotografie scomode, come ad esempio le immagini dei morti, dei feriti raccapriccianti e delle fucilazioni, o quelle che individuano le indicibili condizioni in cui i soldati vivono in trincee non sempre impeccabili come quelle mostrate sui giornali.

Ufficiali fotografi
Una volta in guerra (dato il carattere classista del conflitto, sono di solito ufficiali e graduati), gli stessi ben raramente si lasciano scappare l'occasione di documentare la partecipazione a ben altra avventura che un viaggio o una impresa sportiva e dunque, nonostante nelle zone di operazioni e in particolare a ridosso delle trincee sia formalmente proibito scattare fotografie (un divieto per la verità largamente disatteso, con la complicità degli stessi ufficiali superiori), producono una quantità ancora imprecisata ma certamente ingentissima di immagini amatoriali di vario genere, formato e fattura (negativi, lastre, stereoscopie), che di solito vengono stampate nei laboratori civili delle immediate retrovie (si veda a questo proposito l'attività dello studio Zardini di Cortina) e in seguito riunite in eterogenee raccolte di "ricordi di guerra".
Grazie ad una ricerca che da qualche anno comincia ad essere sistematica, abbiamo oggi a disposizione numerosi esemplari di album e raccolte di immagini private che, se non giungono ancora a una sistemazione organica ed esaustiva, consentono di avanzare alcune ipotesi su tipologia, finalità e funzioni della fotografia amatoriale nel corso del conflitto.

Le collezioni private
Le raccolte familiari superano, per quantità e potenzialità interpretative, la documentazione ufficiale militare (prodotta cioè dai reparti speciali dei vari eserciti) attualmente a disposizione.
Va detto comunque che molto spesso, anzi quasi sempre, negli album dei reduci e nelle raccolte familiari, le fotografie amatoriali del conflitto risultano frammiste a quelle ufficiali, acquistate o ritagliate dai giornali, nonchè a vari altri documenti e carte militari: l'insieme documenta vere e proprie autobiografie di guerra, riflettenti le esperienze, le motivazioni e il gusto di chi le assembla, a testimonianza della partecipazione a un evento collettivo considerato "epocale", meritevole di essere ricordato con documenti e immagini.

Ogni raccolta, ogni album costituisce una delle fonti principali (assieme a lettere, diari, memorie successive...) attraverso cui ricostruire la storia di guerra del militare che produce o raccoglie la documentazione.

 

Le foto nelle retrovie
Dal punto di vista scientifico, dalle raccolte private di guerra emergono importanti indizi per lo studio di momenti e situazioni collettive: al fronte, nelle retrovie, nei momenti del servizio e del riposo, nel rapporto con i civili dei territori militarmente occupati. È soprattutto la pericolosità dei luoghi in cui le fotografie vengono scattate (che di solito dipende dalla loro vicinanza al fronte delle armi), a determinare numero e qualità degli scatti: così, appare intuitivo che, nelle retrovie, ufficiali e militari fotoamatori avessero maggior agio di soddisfare la loro passione ritraendo momenti del lavoro e del tempo libero, con i soldati protagonisti e insieme sfondo di istantanee che lasciano ben trasparire non soltanto le qualità tecniche e le inclinazioni artistiche dei loro esecutori, ma anche intendimenti più diretti e spesso giocosi, che denunciano chiaramente la volontà di ritagliare, nei momenti "liberati" dalla guerra, situazioni e atmosfere se non propriamente pacifiche, certamente rilassanti, svincolate dalle crude necessità del conflitto e quindi, per questa ragione, tonificanti e terapeutiche. Tante le immagini del tempo libero di ufficiali e militari "a spasso" nei paesi e nelle cittadine delle retrovie, spesso ritratti con ragazze corteggiate con pudica baldanza, altre volte nei caffè o nelle aie di case borghesi e contadine occupati a giocare con cani e bambini. Ancor di più le immagini che si riferiscono al "mestiere del soldato", soprattutto quando vengono scattate da ufficiali stabilmente impiegati nelle retrovie, ad esempio nei reparti sanitari e logistici, militari permanentemente di stanza nelle retrovie che, per le loro mansioni, possono spostarsi con facilità e dunque fotografare scene diverse della "loro" vita di guerra, spingendosi dalle retrovie fino a ridosso delle prime linee di combattimento. In queste istantanee amatoriali, i servizi operativi e logistici svolti nelle retrovie perdono parte della loro valenza bellica per rappresentare scene di "lavoro" caratterizzate da una operosità tranquilla e rilassata, propria di un tempo pacifico e apparentemente tranquillo.

La fotografia ufficiale e quella privata
Gran parte dei materiali amatoriali proviene dal gruppo socialmente omogeneo e coeso degli ufficiali di complemento (cittadini provenienti dal mondo borghese, e che a tale mondo avrebbero fatto ritorno, una volta finita la guerra) e che nella stragrande maggioranza dei casi inquadrino momenti di relativa calma a ridosso del fronte ma soprattutto nelle retrovie. Nonostante ciò, probabilmente a causa della ridondanza della fonte fotografica, che nel suo insieme spesso evidenzia più di quello che gli esecutori si proponevano di testimoniare, le raccolte amatoriali possono costituire un'indispensabile integrazione e contrappunto alle spesso troppo controllate immagini ufficiali. Infatti, grazie alla loro capillarità, al carattere privato e alla maggiore "presa diretta", le istantanee amatoriali si soffermano spesso con meno reticenza sul lavoro del soldato (in trincea e nelle retrovie), sulle crude immagini della trincea, della fatica, della desolazione del campo di battaglia, così come, seppur più raramente (quando cioè, come anche in alcune delle immagini di questa rassegna, la volontà di testimoniare riusciva ad andare oltre i condizionamenti esterni e interni), sulla crudele disciplina di guerra, sullo strazio dei corpi, sulla devastazione delle distruzioni, sulla disperazione della morte.
L'importanza della fotografia (di produzione ufficiale e amatoriale) come fonte per la storia della guerra deriva appunto dalla capacità di dialogo e confronto con le altre fonti a disposizione dello storico: la complessiva iconografia prodotta dal conflitto, le fonti militari ufficiali, la stampa e la memorialistica, i diari, le lettere e le memorie di militari e civili, la cartografia di guerra e così via.

La fotografia strumento di propaganda

Di per sé, la fotografia si presenta apparentemente come un documento dotato di oggettività intrinseca e quindi di una straordinaria capacità di documentazione dei fatti. In realtà, non si può non condividere l'osservazione che "quella documentaria è un'attività e una funzione che possono essere espletate con la fotografia, non una qualità intrinseca della fotografia" (Angelo Schwarz), tanto che le fotografie belliche furono spesso realizzate, interpretate e fruite come un surrogato delle ideologiche rappresentazioni dipinte della "guerra in cartolina"; e in ogni caso resta il fatto che, al tempo della Grande Guerra, i giornali utilizzarono le foto solo per illustrare il conflitto, non per documentarlo e raccontarlo: per la nascita del fotogiornalismo moderno sarebbe stato necessario attendere ancora qualche anno. Tra il 1914 e il 1918, furono soprattutto gli uffici propaganda dei paesi belligeranti a servirsi della fotografia come moderno mezzo di comunicazione di massa; all'avanguardia, anche in questo settore, gli inglesi. Nel 1917, nelle tasche di un ufficiale tedesco vennero ritrovate due foto: la prima mostrava corpi di soldati caduti trasportati nelle retrovie, la seconda carcasse di animali avviate verso una fabbrica di olio e sapone. Uno dei migliori esperti del Department of Information di Londra, il generale Charteris, ebbe un'idea geniale quanto macabra; fece pubblicare nei principali giornali del mondo le due foto accostate con un'unica didascalia: "cadaveri di soldati diretti ad una fabbrica di sapone". Gli effetti non si fecero attendere; tra le altre cose, il falso indusse il governo cinese ad abbandonare la neutralità e a schierarsi al fianco degli Alleati sotto la pressione di un'opinione pubblica interna, notoriamente molto sensibile al culto dei morti, colpita ed indignata contro i tedeschi alla vista delle immagini della profanazione dei cadaveri.

 

I mass-media al servizio della guerra
La Grande Guerra determinò una straordinaria accelerazione nello sviluppo delle tecniche dell'informazione propagandistica.
E non ci si riferisce solo alla stampa quotidiana o, in particolare, ai "giornali di trincea", pubblicazioni popolari capillarmente distribuite, dopo Caporetto, ai soldati italiani al fronte.
Oltre ai periodici, furono largamente impiegati, da entrambi gli schieramenti, i volantini, lanciati al di là delle linee nemiche per deprimere lo spirito bellico dell'avversario, disinformare, incitare alla diserzione e alla ribellione.
Molto efficace dal punto di vista propagandistico si rivelò l'uso delle immagini: eleganti manifesti, artisticamente disegnati e dipinti, furono utilizzati nei paesi in guerra per sostenere il morale della popolazione, per illustrare le atrocità commesse dal nemico, per indurre i cittadini a sottoscrivere le cartelle dei prestiti pubblici.
Per la prima volta, anche il cinema fu posto al servizio dello sforzo bellico; specie in Francia, sugli schermi di tutte le sale cinematografiche, venivano settimanalmente proiettati, prima del film, brevi cinegiornali abilmente costruiti al fine di rinforzare la tenuta del fronte interno.
Ovviamente, si trattava di immagini purgate, nelle quali raramente si intravedevano gli orrori della guerra; una regola, questa, che caratterizzava anche la copiosa produzione fotografica ufficiale sulla Grande Guerra.

Nuovi fotografi dalla guerra
I giovanissimi soldati arruolati nei reparti del Genio e di altri corpi, scoprirono proprio sotto le armi la fotografia nelle sue applicazioni militari: molti ne rimasero affascinati e attraverso la pratica e gli insegnamenti degli ufficiali acquisirono quelle conoscenze che una volta congedati misero subito in pratica aprendo nel territorio diversi studi fotografici. Scrive Namias nel 1917 che "la permanenza al fronte ha valso a creare una numerosa falange di cultori di fotografia desiderosi di riportare a casa ricordi di guerra.... La messa in valore di questi ricordi costituirà certo per molti amatori ora militari, un'opera poderosa pel dopoguerra ed innumerevoli di essi approfittano degli ozi della trincea per procurarsi fin d'ora sui libri quelle cognizioni che permetteranno loro di lavorare nel modo migliore e più razionale".
Sottolineerà ancora questo nuovo interesse per la fotografia da parte dei combattenti al fronte: "Fra i nostri abbonati moltissimi sono ora sotto le armi e molti furono alla fronte; non pochi fra essi sono divenuti cultori di fotografia durante la guerra
Ritornando alle abituali occupazioni essi non abbandoneranno probabilmente l'arte fotografica, ed andranno ad aumentare la falange dei cultori di fotografia, alla quale non chiederanno più ricordi come durante la guerra, ma delle estrinsecazioni artistiche applicandosi a quei processi che maggiormente possono realizzarle" (Progresso Fotografico, a. XXV, n. 11) .D'altra parte l'industria fotografica cerca di catturare l'interesse dei soldati con i mezzi più accattivanti e non c'è quasi pagina delle riviste dell'epoca senza una réclame delle macchine fotografiche tascabili, reclamizzate come ideali per il soldato che stava al fronte: per pubblicizzare la Vest PocKet Kodak si scrive ad esempio che "ogni ufficiale e soldato dovrebbe provvedersi dell'apparecchio fotografico Vest Pocket Kodak, dato il suo piccolo formato e minimo peso può essere comodamente portato in una tasca della divisa senz'alcun disturbo". Il formato delle negative era di 4 x 6,5 cm per un peso totale di 260 grammi.
Le immagini della pubblicità fanno vedere soldati di corpi diversi, l'alpino, il marinaio, il bersagliere, tutti alle prese con la loro macchina portatile e si aggiunge che tale apparecchio fotografico è "indicatissimo per militri".Un valido aiuto alla loro formazione veniva poi dalle istruzioni per fotografi redatte dal Capitano Cesare Tardivo, comandante della Sezione Fotografica del Battaglione Specialisti del Genio, che diede alle stampe nel 1911 un volume titolato "Manuale di Fotografia e Topofotografia dal pallone", mentre per quanto riguarda in particolare la chimica fotografica le nozioni si ricavavano da pubblicazioni come il "Progresso Fotografico" di Namias.
I trevigiani fino all'epoca del conflitto per farsi fotografare dovevano rivolgersi ai fotografi di Treviso città, agli storici studi di Ferretto, Fini, Garatti, ecc...Nei nostri piccoli paesi molto cambiò con l'avvento della prima guerra mondiale: ad esempio il soldato Attilio Barbon di Varago di Maserada, partecipò alla prima guerra mondiale proprio nel corpo del Genio e sotto le armi apprese dal proprio ufficiale la tecnica fotografica. Una volta tornato a casa inizia l'attività di fotografo ambulante.Analogamente Ortolan di Mogliano Veneto, di ritorno dal fronte, inizia una attività fotografica in proprio grazie all'aiuto del parroco che gli procura la prima macchina fotografica formato 6 x 9 cm con tutto il corredo per la camera oscura.
Più o meno la stessa cosa avviene con Mario Dall'Armi di Valdobbiadene, che alla guerra partecipò però portando con sé già un bagaglio di cognizioni tecniche apprese poco prima, nel 1914, come garzone presso lo studio già affermato di Giulio Marino di Vittorio Veneto.Da queste esperienze belliche escono dunque fotografi provetti e nei paesi della Marca fioriscono i primi studi fotografici anche sotto la spinta della grande corsa degli anni '20 alla fotoriproduzione delle immagini dei caduti al fronte: in quegli anni ogni famiglia aveva subìto lutti a causa della guerra.
È proprio per accaparrarsi questa lucrosa attività che in quegli anni gli studi fotografici più importanti di Treviso aprono un numero incredibile di succursali e di punti di raccolta nel territorio, magari in semplici osterie o drogherie e non solo nel trevigiano, ma anche nel veneziano e nel Friuli.
Ai fotografi veniva solitamente richiesto di riprodurre i ritratti dei caduti su ovali di ceramica da collocare poi nella lapide tombale.

I fotografi dell’esercito
Qualche anno dopo la sua nascita, la fotografia veniva già utilizzata per lo studio del territorio e con il perfezionarsi dei mezzi e delle tecniche di laboratorio cominciò a farsi strada in ambito militare l'idea di sostituire la fotografia per la sua oggettività agli schizzi, ai disegni, ai dipinti, che erano usati come strumento di rilevazione a fini tattici e strategici e di avvalersene anche per altri scopi.
"Fin dal 1859 Francesi e Piemontesi avevano cominciato a servirsi della fotografia e della fotolitografia per riprodurre le carte teatro della guerra. Nel 1866 l'istituto fotolitografico dei fratelli Barchardt di Berlino creò migliaia di carte che non sarebbe stato possibile, almeno per la celerità, riprodurre diversamente. Nello stesso anno nell'arsenale di Woolwich la fotografia venne usata per lo studio di problemi balistici. Nel 1870 si usò la fotogrammetria per riprodurre la fortezza di Strasburgo..." sono una serie di esempi che Mauro Passarin fornisce in un suo saggio sull'argomento.
Nell'Esercito italiano la fotografia entrò ufficialmente a far parte solo nel 1896 allorché venne fondata a Roma la Sezione Fotografica presso la Brigata Specialisti del 3° Reggimento genio, gruppo Aerostieri.
La sezione fu organizzata dal capitano Maurizio Moris, pioniere dell'aereostatica e notevole fotografo; la fotografia vi trovava un utilzzo tattico più che documentaristico. Per tale ragione presso la sezione venivano svolti annualmente corsi di istruzione che riguardavano le riprese dal pallone, la telefotografia, la microfotografia, i rilievi fotogrammetrici. Della sezione entrò successivamente a far parte il tenente Cesare Tardivo autore del manuale "Fotografia, Telefotografia, Topofotografia" edito nel 1911 che si rivelò essere un testo fondamentale per la materia.
Con la guerra di Libia l'esercito italiano cominciò ad usare la fotografia anche per documentazione storica e sociale delle azioni belliche e della vita militare. Allo scoppio della guerra italo austriaca il Servizio fotografico nell'Esercito venne riorganizzato nelle seguenti sezioni:
1. Squadra fotografi da campagna, a disposizione del Comando Supremo, con sede a Udine, comandata dal capitano Antilli. Agiva in territorio non alpino. Poteva contare su un'autovettura, tre fotografi, un ufficiale, macchine fotografiche nel formato 13x18 e 18x24;
2. Squadra fotografi da campagna, con sede a Tricesimo, comandata dal capitano Gastaldi, a disposizione della seconda Armata; possedeva la stessa attrezzatura della precedente;
3. Squadra fotografi da campagna, con sede a Cervignano, comandata dal capitano Ancellotti, a disposizione della terza Armata; stessa attrezzatura e caratteristiche delle precedenti;
4. quattro Squadre telefotografiche da montagna, delle quali la prima e la seconda con sedi a Verona e a Tolmezzo, a disposizione rispettivamente della prima Armata e del Comando zona Carnia.
Erano someggiate e comprendevano ognuna tre fotografi, cinque alpini, un apparato telefotografico 24x30, una camera 13x18, tenda camera oscura;
5. Squadra fotografi d'Assedio, montata su carri, assegnata ai Parchi del Genio, composta da due fotografi, un apparato 13x18, uno 18x24, e vario materiale tecnico.
Venne inoltre organizzato e ufficialmente costituito nel dicembre del 1915 anche un Reparto fotografico del Comando Supremo, come parte integrante dell'Ufficio Stampa e Propaganda.

Vario altro personale venne destinato alle sezioni aerostatiche, ai dirigibili.

 

Il fotografo Luca Comerio. 1878-1940
Luca Comerio, nato a Milano nel 1878, durante il primo conflitto mondiale fu l’unico civile ad essere autorizzato da un brevetto speciale del Ministero della Guerra ad effettuare riprese cinematografiche sui campi di battaglia. Suo padre gestiva un caffè e aspirava a che il figlio gli subentrasse; ma il giovane Luca nutriva ambizioni artistiche e intravedeva per sé un futuro di pittore, non di bottegaio
Riuscì a farsi assumere nello studio di un fotografo pittore, Belisario Croci, assiduo frequentatore del caffè paterno che lo istruì nei primi rudimenti dell'arte fotografica. Ma già nel 1894, sicuro delle conoscenze acquisite, si mise in proprio e realizzò un fantastico 'colpo' giornalistico che gli valse i ringraziamenti e gli apprezzamenti del re. Proseguì la sua attività di fotografo concentrandosi nella fotografia giornalistica. Nel 1898 documentò i moti socialisti di Milano e la successiva repressione del Generale Bava Beccaris: il suo servizio fotografico, pubblicato nella rivista "L'illustrazione italiana", lo colloca tra i pochissimi fondatori del fotogiornalismo europeo. Ma, subito dopo, cominciò a disinteressarsi della fotografia, privilegiando in misura sempre maggiore il cinema, intuendone le maggiori potenzialità come strumento di informazione e suggestione. Dotatosi di una nuovissima cinepresa Pathè, nel 1907 Comerio documentò il viaggio del re nel Mediterraneo che gli fruttò la nomina a fotografo della Real Casa. Sfruttando questo successo si lanciò nella produzione cinematografica con piglio industriale.
Già nel 1909 è a capo di una società, la "Milano Films", che dispone del più grande e attrezzato studio del mondo.
Allorché nel 1911 l'Italia, entrata in guerra contro la Turchia, mandò truppe d'occupazione in Libia, Luca Comerio in qualità di fotografo e di operatore cinematografico partecipò alla spedizione ritraendo le varie fasi dello sbarco e della successiva campagna di pacificazione: con i suoi filmati Comerio è probabilmente il primo ad avere mai raccontato cinematograficamente una guerra dal fronte.
Tornato dalla Libia si diede a produrre film d'arte, ma quando scoppiò la guerra italo austriaca abbandonò immediatamente i teatri di posa e si affrettò a riprendere le prime operazioni militari: grazie all'esperienza e alla fama acquistate in Libia,ottenne il brevetto speciale del Ministero della Guerra per riprendere i campi di battaglia.
Dopo la rotta di Caporetto venne costituita la Sezione Cinematografica del Regio Esercito che assunse il monopolio delle riprese. Ciononostante fu l'unico a riprendere, nel 1918, l'entrata dei cavalleggeri a Trento. L'anno dopo documentò l'impresa di Fiume.
Finita la guerra ebbe inizio il suo dissesto finanziario che lo porterà più avanti a ricercare invano occupazione anche come semplice operatore. Morì nel 1940.

Il fotografo Luigi Marzocchi. 1888-1970
Luigi Marzocchi, nacque a Molinella (BO) il 3 agosto 1888.
Fu richiamato alle armi in vista dell'entrata in guerra dell'Italia nel marzo del 1915 e destinato al drappello automobilistico del Comando Supremo per la sua manifesta passione per la meccanica; ma l'altra sua grande passione, quella per la fotografia gli valse già nel giugno-luglio del 1915 l'incarico di organizzare il "Reparto Fotografico del Comando Supremo" di cui realizzò personalmente quasi tutte le fotografie al fronte.
"Reparto istituito su idea del conte Antonio Revedin di Venezia e del conte Giuseppe Volpi a seguito di fotografie ritratte da me Luigi Marzocchi...." scrive nel suo diario. Durante tutto il periodo della guerra comunque proseguì di sua iniziativa e con propri mezzi anche un'attività personale di documentazione fotografica che lo portò a realizzare centinaia di fotografie stereoscopiche. Alla fine della guerra pensò di proporre tale considerevole patrimonio di immagini ai combattenti che ritornavano a casa e alle loro famiglie dando loro "un ricordo vivo dei luoghi, delle scene e degli episodi della guerra (...) con una scelta di 700 soggetti che davano un'idea di tutto il nostro fronte e dello sforzo compiuto dai nostri soldati combattenti" (dal diario).
Fondò quindi a Milano insieme al Conte Revedin e a Vittorio Lazzaroni la società "La Stereoscopia", intraprendendo un notevole sforzo sia tecnico che amministrativo: realizzò cataloghi, illustrazioni, produsse serie di lastre e visori da commercializzare, sforzo vanificato da una esortazione esplicita dei Ministeri dell'epoca in base alla quale non si doveva più parlare di guerra e di ricordi di guerra. Dovette quindi abbandonare l'iniziativa; la riprese qualche anno più tardi coinvolgendo le associazioni combattentistiche, l'Esercito, ma convintosi che "la guerra era ancora troppo vicina e troppi dolori aveva lasciato perché molti potessero desiderare di ricordarla" cessò tale attività imprenditoriale nel campo a lui caro della fotografia per darsi ad altre attività e tornare in seguito alla sua primitiva passione per la meccanica.

Il Capitano Cesare Tardivo, Comandante la Sezione Fotografica del Battaglione Specialisti del Genio
Una generale visione delle problematiche della fotografia all'epoca della Grande Guerra e delle sue appllicazioni militari ci viene offerta dal Capitano Cesare Tardivo, Comandante la Sezione Fotografica del Battaglione Specialisti del Genio: era stato allievo del Tenente Colonnello del Genio, Maurizio Mario Moris, creatore il 1° aprile 1896, della Prima Sezione Fotografica militare presso la Brigata Specialisti del terzo Reggimento Genio in Roma. Il Tardivo nell'introduzione alla sua opera del 1911, "Manuale di Fotografia, Telefotografia, Topofotografia dal Pallone", scrive:
"La fotografa è ora uscita dal ristretto campo del professionista e del dilettante, per dare potente aiuto alle arti e alle scienze. Torna infatti di gran sussidio alla chirurgia colla radiografa, all'istologia e alla metallografia colla microfotografia, alla stampa colla trasmissione della fotografa a distanza, al topografo colla fotogrammetria, all'arte colla riproduzione dei quadri ecc.
Anche nel campo militare, la fotografa trova ora efficace impiego, e per questo venne nel 1896 creata presso la Brigata Specialisti del Genio una Sezione Fotografica dall'attuale Ten. Colonnello Moris, il quale seppe in breve darle grande sviluppo. Tale Sezione si occupa specialmente di studi e lavori di telefotografa per ricognizioni alle grandi distanze, ed in tale ramo ha raggiunti risultati veramente insperati; di fotografa e telefotografia da bordo delle navi per ricognizioni costiere, di fotografia e telefotografia dalla navicella dei palloni e dei dirigibili per ricognizioni dall'alto; di rilievi di terreni montuosi a mezzo della fotogrammetria; di rilievi di terreni piani a mezzo della topofotografia dal pallone e dal dirigibile; di microfoto-
grafia per la produzione dei dispacci per la corrispondenza a mezzo dei colombi viaggiatori, e infine di cinematografia per esperienze di mine. Ha poi un reparto con speciale impianto per lo studio e collaudo dei varii sistemi ottici; quali obbiettivi, cannocchiali, telemetri, ecc. ed un altro reparto per le riproduzioni documentarie, con annesso laboratorio di fotocollografia per la produzione di stampe monocrome e policrome.
A questa Sezione ebbi l'onore di essere addetto fin dalla sua fondazione, e fra i miei compagni di lavoro rammento con piacere: gli ingegneri Gargiolli, Letter e Sullam, che nel primo periodo contribuirono agli studi di telefotografia; in modo speciale il Capitano Malingher, che dedicò per lunghi anni alla Sezione tutta la sua ingegnosa e instancabile operosità, e lasciò tanti importanti lavori di montagna e studi d'ottica; il Capitano Crocco per i suoi studi di telefotografia da mare; i Capitani Azzariti, Perrini e Ranza e l 'lngegnere Laboccetta, per studi di chimica e fotogrammetria; il Tenente De Benedetti per lavori dal pallone ed il Capotecnico Moretti specialmente per i notevoli lavori di fotocollografia.
Presso la Sezione si fanno annualmente corsi d'istruzione agli ufficiali; epperò col riunire in un manuale le norme che vennero suggerite dalla lunga pratica, ho creduto di far cosa utile all'ufficiale chiamato ad eseguire i lavori fotografici in campagna...
Nella parte stereoscopica mi sono un po' dilungato, ritenendo della massima importanza per usi militari (brillamento di mine, esplosione di proietti, prove di resistenza alla rottura, opere militari, ecc.), come per usi civili (parte documentaria), la rappresentazione del soggetto in rilievo.
Nella topofotografia dal pallone ho fornito dati ed espresso apprezzamenti miei personali, suggeritemi dall'esperienza, ed atti ad iniziare l'operatore ad lavoro tanto speciale ed interessante, quanto difficile.Nella parte ottica ho dovuto necessariamente dilungarmi, pur escludendo la trattazione analitica, in considerazione della grande importanza dell'obbiettivo, ed inoltre ho creduto necessario trattare per intero la questione dei diaframmi, affinché chi è chiamato a lavorare con tipi diversi d'obbiettivi si trovi in condizione di conoscere il valore da attribuirsi alle varie graduazioni stabilite per i diaframmi dalle case costruttrici.
Sui teleobbiettivi mi sono limitato a poche considerazioni d'impiego pratico e ad alcuni apprezzamenti personali; le une e gli altri suggeritemi dal lungo studio teorico dedicato all'argomento, nonché dall'attuazione pratica di numerose e svariate combinazioni telefotografiche.
Non sono entrato in merito alla teoria ed alla costruzione dei teleobbiettivi di grande potenza, che costituiscono patrimonio riservato della Sezione.

Per il materiale corrente, ho indicato quello che meglio può rispondere ad usi di campagna, fra quello che si trova nel comune commercio, e non ho descritto quello speciale che esiste solo presso la nostra Sezione, perché non di dominio pubblico..."

 

La sezione fotografica dell’esercito
La prima vera importante uscita sui campi di battaglia della sezione fotografica dell'Esercito si ebbe in occasione del conflitto italo-turco (Libia 1911 - 1912), con l'opportunità di sfruttare tutte le possibili applicazioni di fotografia all'arte militare.
Come ricorda lo storico Nicola della Volpe nel volume su "Esercito e propaganda nella Grande Guerra" edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, "nel corso del conflitto l'esigenza di avere a disposizione un numero sempre maggiore di immagini, portò ad una articolazione più complessa del servizio, per cui si istituì una Direzione del servizio fotografico presso il Comando Supremo, un Servizio Fotografico Aereo, un Servizio Fotografico Terrestre, ordinati in sezione squadre da campagna e da montagna".
D'altra parte anche l'Austria fin dall'inizio del '900 poteva contare su un avanzatissimo servizio di fotogrammetria diretto dal colonnello di Stato maggiore Rummer Von Rummerschof che si basava sulle esperienze dell'I.R. Istituto Geografico militare di Vienna che si avvaleva dell'opera del generale Von Steeb e degli studi del maggiore di artiglieria Hubl e dei colonnelli Von Sterneck e Hartl.
Per capire qunto importante fosse l'uso militare della fotografia, basta considerare che una attenta analisi di una serie fotografica portò l'Esercito Italiano, durante l'offensiva dell'agosto del '17, a bloccare nelle caverne del San Michele intere unità austriache in riserva e guidare poi i comandi alla fulminea conquista del Sabotino. A loro volta gli austriaci, in base a documentazioni fotografiche riproducevano esattamente nelle loro retrovie il settore di difesa nemico che intendevano attaccare, esercitando su questo modello le truppe che avrebbero dovuto darvi l'attacco.

I teleobiettivi
Il teleobiettivo trovò immediata applicazione nell'uso militare, vista la sua utilità nel riprendere soggetti posti anche a grande distanza, con il massimo dettaglio possibile.
Scrive il Tardivo che l'esercito usava "tiraggi" di camera fino a 5 metri, ottenendo risultati sperimentalmente ottimi giungendo in condizioni eccezionalmente favorevoli di luci sino a 250 ingrandimenti, aggiungendo poi che "non sarebbe naturalmente pratico né conveniente per questi grandi fuochi adoperare gli ordinari obbiettivi fotografici e ciò per la smisurata massa di cristallo, di superfici rifrangenti, per il costo ecc.. ci vuole invece uno speciale sistema convergente come quello da noi studiato e costruito (tutt'ora riservato).
Si può così avere un teleobiettivo leggero e corto da portarsi comodamente a spalla e da montarsi, insieme alla camera oscura, su d'un sistema di travi a traliccio scomponibile e facilmente trasportabile.
Il montaggio si fa comodamente su qualsiasi terreno e dà a tutto l'apparato una rigidità tale da permettere, con opportuni ripieghi, il lavoro anche con fortissimo vento."
Ma nella realtà gli apparecchi fotografici muniti di teleobbiettivo raggiungevano anche i 400 ingrandimenti, proprio con l'obiettivo cui diede il nome di "Tardivo" e costruito dalla ditta Koristka già nel 1898 e che fu ampiamente utilizzato nel conflitto mondiale.
Gli obiettivi di questa grandezza divenivano pesanti, e montati sulle camere erano mal equilibrati ed erano sufficiente vibrazioni minime per pregiudicare i risultati, in particolare se i tempi di posa erano lunghi.
Talvolta il solo movimento di persone nelle vicinanze induceva vibrazioni nel teleobiettivo, motivo per cui a volte i fotografi dell'esercito erano costretti addirittura a scavare apposite trincee su cui ancorare gli enormi teleobiettivi, per evitare che la minima vibrazione alterasse l'immagine.
In alcune immagini esposte nella presente mostra si notano gli operatori alle prese con enormi teleobiettivi.
I particolari tecnici di queste attrezzature allora costituivano segreto militare ed il Tardivo lo sottolinea con chiarezza: "Sui teleobbiettivi mi sono limitato a poche considerazioni d'impiego pratico e ad alcuni apprezzamenti personali; le une e gli altri suggeritemi dal lungo studio teorico dedicato all'argomento, nonché dall'attuazione pratica di numerose e svariate combinazioni telefotografiche ... non sono entrato in merito alla teoria ed alla costruzione dei teleobbiettivi di grande potenza, che costituiscono patrimonio riservato della Sezione. Per il materiale corrente, ho indicato quello che meglio può rispondere ad usi di campagna, fra quello che si trova nel comune commercio, e non ho descritto quello speciale che esiste solo presso la nostra Sezione, perché non di dominio pubblico ... ": ci nascondeva infatti che le potenzialità di ingrandimento raggiunte già a fine '800 erano notevolmente superiori a quanto mai dichiarato ufficialmente.

Fotografia ed aerostati
L'Esercito italiano costituì il 1° aprile 1896, la Prima Sezione Fotografica militare presso la Brigata Specialisti del terzo Reggimento Genio in Roma e le prime applicazione e la pratica della fotografia avvennero con fotografie prese dall'aerostato.
L'utilità dell'aerostato derivava dal fatto che poteva essere frenato a quote basse e librarsi in aria per giornate intere: andava governato a terra tramite un apposito carro di manovra che prevedeva l'impiego di quattro uomini che operavano alle manovelle per la gestione della salita e discesa.
Sul carro di manovra nel 1900 fu introdotta una innovazione importante, una piccola dinamo e un campanello avvisatore per il passaggio della corrente per far scattare l'otturatore della macchina fotografica sospesa.
Il pallone frenato aveva il vantaggio della fissità e permanenza nel punto di osservazione e quindi dell'azione di sorveglianza prolungata e ininterrotta con l'impiego di potenti mezzi ottici, dell'amplissimo campo di vista e della facilità delle comunicazioni con i servizi che sfruttavano le osservazioni.
Naturalmente il rendimento delle riprese dall'aerostato era funzione di diversi fattori: dell'altezza raggiunta dal pallone frenato, della distanza alla quale si effettuava l'osservazione e della possibilità di manovra del pallone in quota, delle condizioni atmosferiche e del terreno, della sicurezza in caso di guerra dell'aerostato rispetto alle offese nemiche, della preparazione e dell'attitudine del personale addetto alle riprese fotografiche.
L'altezza era naturalmente la condizione essenziale, scrive il Tardivo anche una altezza sui 600-750 metri andava bene, tuttavia quella normale era di 1000-1200 metri con due osservatori, 1500 m. con un osservatore, eccezionalmente si alzava il pallone a 1700-1800 metri.
In condizioni di grande nitidezza d'atmosfera si poteva fotografare con un buon obiettivo fino ad una ventina di chilometri, anche se, per un pallone situato a m. 1200, la zona di efficace osservazione si estendeva fino a 12 km. Durante la Grande Guerra essendo l'aerostato un bersaglio decisamente vulnerabile, la distanza delle linee nemiche doveva essere non meno di 8 km, considerando un punto di ascensione di 6-7 km, per un sito di ormeggio in terreno pianeggiante e scoperto.

Gli aerostati furono impiegati durante la guerra per lo studio e la sorveglianza generale del campo di battaglia, del movimento del nemico, per l'analisi dell'attività dell'artiglieria avversaria, per la segnalazione dei lavori compiuti dal nemico preparazione dei tiri, ecc...

 

Fotografia da palloni sferici, draken aerofotografia
I mezzi a disposizione dell'esercito per il sollevamento di una macchina fotografica con la quale tenere sotto controllo l'attività nemica, erano costituiti quindi da palloni sferici, draken, dirigibili, aereoplani, in una evoluzione rapida che dall'inizio della guerra si evolve rapidamente vero il mezzo più versatile, l'aereoplano.
Tuttavia all'inizio della guerra le osservazioni venivano eseguite principalmente con palloni sferici e draken. Scrive il Tardivo: "se si ha da lavorare in regioni con calma di vento, conviene il palloncino sferico perché a pari cubatura del draken pesa meno e quindi dispone di maggiore forza ascensionale ... non appena si ha un po' di vento conviene senz'altro passare al draken, rinunciando al beneficio della maggiore forza ascensionale e per conseguenza andando incontro a maggiori difficoltà di rifornimento ... il draken, mantenendosi fisso nello spazio anziché ruotare attorno a se stesso, come fa il pallone sferico, mantiene pure fisso il punto di sospensione della macchina, questo è il suo principale vantaggio".
Le caratteristiche del pallone sferico le descrive con esattezza il Tardivo: "il palloncino di seta verniciato da 65 mc pesa 26 kg ha un diametro di 5 m e dispone di 32 kg di forza ascensionale: la macchina fotografica con chassis carico di due lastre fotografiche, il telaio di metallo che la sosteneva e le catenelle relative portavano il peso da sollevare a 5 kg complessivi". L'esercito aveva a disposizione anche una speciale macchina fotografica che attraverso il comando elettrico permetteva uno scambio automatico di 6 lastre, il che evitava di dover riportare a terra l'apparecchio fotografico per il cambio di lastra ad ogni scatto.
All'aerostato dopo il 1910 fu progressivamente sostituito il dirigibile, per la maggior stabilità offerta e per la conseguente miglior resa delle fotografie dall'alto: scrive il Tardivo che "quando esisterà una regolare flottiglia di dirigibili con i relativi hangars, allora la topofotografia potrà trovare una maggiore e più pratica applicazione perché con un viaggio in una giornata si potrà fare un grandissimo numero di lastre". L'introduzione del dirigibile fu comunque di breve durata e di uso saltuario, perché le innovazioni tecniche fecero ben presto dell'aeroplano il miglior strumento per le levate aerofotogrammetriche.
Quanto fossero tristemente funzionali i draken per il monitoraggio dei tiri d'artiglieria nella guerra di posizione lo testimonia la vicenda del pilota Giannino Ancillotto che per abbatterne uno di parte austriaca dovette dar fondo a tutto il suo coraggio: "dopo la catastrofe di Caporetto, riusciva difficile consolidare la nostra disperata difesa in un punto del Piave perché un draken austriaco che sorvegliava i movimenti delle nostre truppe regolava così esattamente il fuoco delle artiglierie da produrre una strage continua" (Guido Milanesi, Le aquile, Milano 1927). Dovette trapassare il draken con l'aereo, il pallone esplose incendiandosi, e Ancillotto ritornò alla base con i lembi del pallone impigliati alle ali in una fotografia divenuta famosa.

La triangolazione aereofotografica e la fotogrammetria
Una volta eseguiti gli scatti dal pallone o draken, ed una volta recuperate le lastre fotografiche impressionate, si poneva il problema della loro unione e riduzione ad una stessa scala ed era perciò necessario operare una apposita triangolazione in modo che almeno tre punti rilevati avessero a cadere su ogni singola lastra
Le fotografie potevano essere fatte in planimetria per ottenere piante, in prospettiva per ottenere panorami o con apparecchi speciali per ottenere la stereoscopicità.
L'impiego di tali rilievi era utile tanto dell'offensiva quanto della difensiva. Nel primo caso valeva come già visto per la preparazione (studio del terreno, dell'organizzazione avversaria, dello schieramento delle artiglierie, etc.) e per l'esecuzione (controllo delle posizioni occupate, effetti del tiro, etc.). Soprattutto per la guerra di posizione la ricognizione fotografica rappresentava una grande minaccia, per l'obiettivo cadevano molti segreti, tutto si rilevava studiando attentamente la fotografia.
Agli inizi del secolo la dotazione in seno all'Esercito di un reparto che si occupasse esclusivamente di fotografia contribuì enormemente allo sviluppo della ricerca e delle tecniche di sperimentazione.
Per il calcolo dei vari elementi della prospettiva ai fini del rilevamento topografico e delle relazioni fra questi elementi, era necessario misurare con molta esattezza le ordinate e le ascisse dei punti sulla prospettiva stessa, prendendole quando serviva direttamente sulla lastra negativa con il compasso e riportandole su di un regolo graduato con nonio, che dava in millimetri e decimi di millimetro il loro valore per servire ai calcoli.
Scrive Paolo Paganini, Ingegnere dell'Istituto Geografico Militare, nella sua opera Fotogrammetria, che "le lastre negative mal si prestano alla misura diretta col compasso ordinario, alla ricognizione dei punti e alla loro individuazione con numeri o segni, per cui converrà servirsi delle immagini positive su carta, le quali se subiscono alterazioni per effetto dei diversi bagni, queste sono costanti per una data specie di carta e si possono determinare con sufficiente precisione".

 

Immagini prospettiche e panorami
I panorami utilizzati per il rilevamento e che riprodotti servivano anche da illustrazione delle zone rappresentate, "sono formati di dieci prospettive ottenute spostando successivamente di 36° l'asse ottico della camera oscura, intorno all'asse verticale dello strumento e poiché l'ampiezza orizzontale di ciascuna prospettiva è di 42° ne avviene che, due a due, le prospettive contigue hanno ai loro estremi di dritta e di sinistra 3° di orizzonte in comune, e quindi una striscia verticale larga circa 15 mm, che si sovrappone all'identica striscia della prospettiva contigua.
Queste strisce contenendo due a due le stesse immagini, servono di spia, cioè a far conoscere se l'apparecchio nell'esecuzione del panorama, ha subito qualche spostamento: col confronto delle ordinate di quelle stesse immagini, misurate sulle due strisce e riferite alla posizione di linea di orizzonte in esse segnata, si conosce se il filo della camera che deve segnare l'orizzonte non è più orizzontale. Esse servono pure per facilitare l'esatto ritaglio e l'unione delle prove positive per comporre il panorama. Poiché lo spostamento orizzontale costante che si da successivamente all'asse ottico della camera per ottenere le varie prospettive che compongono il panorama e di 36°, ne avviene che con dieci di esse si compia l'intero giro d'orizzonte, ossia 360°."

Laboratorio fotografico da campagna
"Quando i lavori fotogrammetrici si svolgono su di una estesa zona di terreno con più operatori, il piccolo laboratorio viene stabilito nel punto prescelto come sede della sezione, relativamente alle comunicazioni, alle distanze da percorrere, ai mezzi di trasporto, all'acqua, ecc. Ivi si terranno in deposito le lastre sensibili e prodotti fotografici al sicuro dell'umidità, come pure i negativi già fatti e le prove gia stampate; tutte queste operazioni di laboratorio: sviluppo, fissamento e lavaggio dei negativi, stampa delle prove positive, ritaglio delle stesse con apposite sagome, confezione dei panorama, loro classificazione a seconda dei vari operatori, conteggio delle lastre successivamente distribuite agli stessi, ecc. saranno fatte da un buon operatore fotografo".

L’attività dell’operatore fotografico
"Ciascun operatore fototopografo, man mano rifornito di lastre sensibili in quantità sufficiente, un centinaio per volta tutt'al più, si recherà cogli attrezzi d'attendamento, quando occorra, ed un fanaletto a luce rossa per il cambio delle lastre stesse chiuse in apposito astuccio che le preserva dalla luce e dall'umidità, in quel punto che si giudica ad eguale distanza da quel gruppo di stazioni riguardanti un dato vallone, o una porzione di esso, una cresta od un tratto di essa, ecc., a seconda della scala della levata e delle difficoltà del terreno.
Da questo secondo punto come centro si va, per raggi, giornalmente, ad eseguire una per una, le dette stazioni che, in alta montagna specialmente, possono essere diverse da quelle presupposte, ma non tanto da pregiudicare il lavoro di una giornata.
Ogni sera si cambieranno nei telai le lastre esposte nella giornata, con quelle per la stazione del giorno seguente, valendosi del fanale a vetri rossi e di coperte, specialmente se attendati, per ripararsi dalla luce esterna che anche di notte può essere nociva.

Le lastre gia esposte separate ai bordi con striscie piegate di carta nera, si avvolgeranno in fogli di carta pure nera e sul pacco che ne risulta, prima di riporlo nell'apposita cassetta in astuccio di pelle, che lo ripara dalla luce e dall'umidità, vi si scriveranno con matita bianca o rossa, quelle indicazioni indispensabili per aiutare il fotografo nello sviluppo delle lastre e per classificare il panorama".

 

Didascalie su negativi
Nei materiali fotografici originali della grande Guerra spesso osserviamo delle scritte bianche o nere accompagnare una data lastra fotografica, negativo su pellicola, stampa positiva, lastra positiva, stereoscopie. Ebbene, per scrivere sui negativi (lastre, pellicole) "in modo che la stessa riesca scritta in bianco nella stampa" si usava uno speciale inchiostro ottenuto con azotato acido di mercurio e bicloruro di mercurio. Con questa miscela si scriveva su di una striscia di carta la didascalia, la si premeva contro la gelatina del negativo e vi rimaneva impressa, ma rovesciata e penetrata nello strato di gelatina. Stampando la fotografia si otteneva una stampa con la didascalia scritta in bianco nelle parti nere dell'immagine.
Le didascalie presenti nelle steroscopie del Fondo Ferrazzi paiono invece ottenute con un inchiostro per usi fotografici realizzato con una soluzione di borato di soda, gomma arabica e nerofumo: una volta asciutto esso era assolutamente insolubile.

La pellicola cinematografica
La celluloide è la sostanza della quale era formata, all'epoca della Grande Guerra, la pellicola cinematografica. Scrive il Mariani che la "cellulosa, dalla quale si arriva alla celluloide per successive trasformazioni, si trova in ogni pianta, ed in maggior quantità nelle fibre vegetali tessili e nel legno delle resinose e del pioppo. Il cotone trattato con un miscuglio di acido nitrico e di acido solforico dà luogo alla formazione di una sostanza detta nitro-cellulosa, che si scioglie in un miscuglio di alcool e di etere, formando il collodio. Questo, evaporando, lascia un residuo pellicolare flessibile e trasparente; basta aggiungere al collodio un po' di canfora e stendere il liquido uniformemente in apposita vasca, per ottenere dalla evaporazione il residuo pellicolare che, tagliato in nastro, si dice film. La cellulosa è infiammabile con facilità, affìne come essa è del cotone fulminante."

La fotoceramica
A causa della guerra quasi ogni famiglia aveva subìto lutti, così nei primi anni '20 vi è la corsa alla fotoriproduzione delle immagini dei caduti al fronte: ai fotografi veniva solitamente richiesto di riprodurre i ritratti dei caduti su ovali di ceramica da collocare poi nella lapide tombale.
Nessuno in quegli anni era in grado a Treviso di effettuare il procedimento fotoceramico e di conseguenza gli studi fotografici del territorio una volta raccolte le ordinazioni, per la realizzazione pratica si rivolgono a ditte presenti nelle grandi città, com'era il caso di Genova, Torino, Milano, città quest'ultima dove operava la "Premiata Industria Fotoceramica" di Renato Consolaro che aveva diretti rapporti di lavoro con il trevigiano. La ditta Consolaro consegnava agli studi di Treviso un blocchetto di cedole di commissione dove venivano apposti a cura del fotografo locale i dati del committente, venivano indicati il formato finale prescelto ed i particolari della foto che dovevano comparire nell'immagine. La cedola veniva poi incollata sul retro della foto originale ed il tutto spedito a Milano una volta che il fotografo aveva raccolto un certo quantitativo di ordinazioni.

L'Ing. Ippolito Cattaneo di Genova, nel suo catalogo "Fotografia-Catalogo 1913-1914" a proposito del procedimento fotoceramico scrive:

 

esecuzione artistica, rassomiglianza perfetta, pagamento metà anticipato e metà contro assegno"
La fotografia vetrificata sopra smalti, porcellana, vetri era un procedimento difficile che richiedeva molta pratica: si basava su una ricetta che prevedeva l'uso di bicromato d'ammonio, gomma arabica, fulmicotone, acido solforico: la lastra fotografica che riproduceva il ritratto voluto veniva cosparsa di polveri vetrificanti, poi con apposito procedimento si distaccava la pellicola della negativa dal la lastra di vetro, la si collocava sul supporto di porcellana, e veniva quindi posta sopra un mattone di refrattario e cotta a circa mille gradi.

 

La stereoscopia
La Stereoscopia è una tecnica messa a punto nell'Ottocento, parallelamente all'affermarsi e al diffondersi della fotografia, per riprodurre la realtà anche nel suo aspetto volumetrico.
I suoi principi furono dapprima elaborati teoricamente dal Fisico C. Wheatstone tra il 1832 e il 1838 e poi sviluppati sperimentalmente dal suo collega D. Brewster a partire dalla fine del decennio successivo.
Questa tecnica consente di simulare la tridimensionalità di quanto riprodotto, mediante l'osservazione contemporanea di due sue immagini (riprese da due punti di vista leggermente differenti), e si è diffusa con successo sin dalle origini grazie alle "stereo cards", ovvero alle fotografie "doppie" che venivano osservate individualmente per mezzo di un opportuno visore: lo Stereoscopio.

Gli anaglifi
Gli anaglifi sono immagini stereoscopiche basate su due colori differenti. "Si proiettano due immagini stereoscopiche una sull'altra contemporaneamente sullo schermo facendole combaciare per quanto è possibile o con due lanterne, ovvero già sovrapposte in una. In quest'ultimo casi bisogna che siano immagini pellicolari chiuse tra due vetri di protezione per risultare contemporaneamente a fuoco. L'una di queste immagini è verde, l'altra è rossa. Questi due colori, come si sa, sono complementari. Ora, se lo spettatore osserverà la proiezione con una specie di paio di occhiali, verde l'uno e rosso l'altro, percepirà solo le immagini del colore corrispondente e quindi ciascun occhio vedendo l'immagine a lui propria, l'impressione del rilievo sarà ottenuto".


Testi di Lucio Fabi:
La fotografia nel conflitto
La fotografia ufficiale sulla stampa
Ufficiali fotografi
Le collezioni private
Le foto nelle retrovie
La fotografia ufficiale e quella privata
La fotografia strumento di propaganda
I mass-media al servizio della guerra
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Testi di Tiziana Ragusa:
I fotografi dell’esercito
Il fotografo Luca Comerio. 1878-1940
Il fotografo Luigi Marzocchi. 1888-1970
------------------------
Testi di Adriano Favaro:
Nuovi fotografi dalla guerra
Il Capitano Cesare Tardivo, Comandante la Sezione Fotografica del Battaglione Specialisti del Genio
La sezione fotografica dell’esercito
I teleobiettivi
Fotografia ed aerostati
Fotografia da palloni sferici, draken aerofotografia
La triangolazione aereofotografica e la fotogrammetria
Immagini prospettiche e panorami
Laboratorio fotografico da campagna
L’attività dell’operatore fotografico
Didascalie su negativi
La pellicola cinematografica
La fotoceramica
La stereoscopia
Gli anaglifi
Si ringraziano per la collaborazione ed il prestito di documentazione:
Biblioteca Civica di Treviso
Comune di Fonte
Comune di San Biagio di Callalta
Fondazione Angelini
, Belluno
Museo della Battaglia di Vittorio Veneto
Museo della Bonifica di San Donà di Piave
Museo del Risorgimento di Vicenza
Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto
Adriano Alpago Novello
, Belluno
Gianluca Badoglio
, Rivignano
Elisa Barbon
, Ponzano
Luciano Barzotto
, San Fior
Pietro Bottega
, Schio
Aldo Busato
, San Donà di Piave
Lorenzo Cadeddu
, Vittorio Veneto
Giovanni Callegari
, Lovadina
Adriana Ceneda Mattiuzzo
, Varago
Lucio Fabi
, Gorizia
Livio Fantina
, Treviso
Foto Dall’Armi
, Valdobbiadene
Paolo Giacomel
, Cortina d'Ampezzo
Alberto Majer
, Fregona
Armando Pisanello
, Castelfranco Veneto
Italo Riera
, Monfumo
Floriano Sartor
, Cavaso del Tomba
Archivio Fotografico Toscano di Prato
BIBLIOGRAFIA
- Dott. Luigi Sassi, Ricettario Fotografico, Manuali Hoepli, Milano 1923.
- V. Mariani, Guida pratica alla cinematografia, manuali Hoepli Milano 1923.
- Stanis Pecci, Proiezioni ed ingrandimenti, Ed. Il Corriere Fotografico, Milano 1908.
- Cesare Tardivo (Comandante la Sez. Fotografica del Battaglione Specialisti del Genio), Manuale di Fotografia, Telefotografia, Topofotografia dal Pallone, Carlo Pasta Editore, 1911.
- Paolo Paganini, Ingegnere dell'Istituto Geografico Militare, Fotogrammetria, Hoepli 1901.
- Fotografia-Catalogo 1913-1914, dell'Ing. Ippolito Cattaneo di Genova.
- Guido Milanesi, Le aquile, Milano 1927.
- I testi su: La fotografia nel conflitto. - La fotografia ufficiale sulla stampa. -Ufficiali fotografi - Le collezioni private-Le foto nelle retrovie - La fotografia ufficiale e quella privata, sono testi di Lucio Fabi tratti da Fotografare la Grande Guerra, Guida alla mostra fotografica..., a cura del F.A.S.T.-Treviso, 2001.
- I testi su La fotografia strumento di propaganda e I mass-media al servizio della guerra, sono di Livio Vanzetto,tratti da Fotografare la Grande Guerra, Guida alla mostra fotografica..., a cura del F.A.S.T.-Treviso, 2001.
- I testi su: I fotografi dell’esercito-Il fotografo Luca Comerio (1878-1940) - Il fotografo Luigi Marzocchi (1888-1970), sono di Tiziana Ragusa, tratti da Fotografare la Grande Guerra, Guida alla mostra fotografica..., a cura del F.A.S.T.-Treviso, 2001.
- I testi: Capitano Cesare Tardivo, Comandante la Sezione Fotografica del Battaglione Specialisti del Genio - La Sezione Fotografica dell’Esercito - I teleobiettivi- Fotografia e aerostati - Fotografia da pallonisferici, draken, aerofotografia, sono tratti da Fotografare la Grande Guerra, Guida alla mostra fotografica..., a cura del F.A.S.T.-Treviso, 2001.
- I testi su La triangolazione aerofotografica- La fotogrammetria- Immagini prospettiche e panorami-Il laboratorio fotografico di campagna - L’attività dell’operatore fotografico, sono tratti da Fotogrammetria di Paolo Paganini, Ingegnere dell'Istituto Geografico Militare, Hoepli 1901.
- Il testo su Le didascalie su negativi è tratto dal Ricettario Fotografico, Luigi Sassi Manuali Hoepli, Milano 1923 pag. 37.
- Il testo su La fotoceramica è tratto da Fotografare la Grande Guerra, Guida alla mostra fotografica..., a cura del F.A.S.T.-Treviso, 2001.
- Il testo su La pellicola cinematografica è tratto da Guida pratica alla cinematografia di V. Mariani, manuali Hoepli Milano 1923.
- Il testo su La stereoscopia è tratto da Fotografare la Grande Guerra, Guida alla mostra fotografica..., a cura del F.A.S.T.-Treviso, 2001.
- Il testo su Gli anaglifi è tratto da Proiezioni ed ingrandimenti di Stanis Pecci, Ed. Il Corriere Fotografico, Milano 1908.
- Nuovi fotografi dalla guerra di A. Favaro è tratto da La guerra, un grande affare per i fotografi,in Fotostorica, 1996



 
 

Treviso, 21/22 Dicembre 2002

 

 
 
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