Dopo l'esposizione nel salone del Palazzo dei Trecento, a Treviso,
dal 29 Novembre 2003 al 18 Ge Dopo l'esposizione nel salone del Palazzo dei Trecento, a Treviso,
dal 29 Novembre 2003 al 18 Gennaio 2004, la mostra verrà periodicamente riproposta. nnaio 2004, la mostra verrà periodicamente riproposta.
La mostra storico-fotografica su La Marca trevigiana fra le due Guerre
segue temporalmente quelle dedicate all’emigrazione e alla Grande
Guerra. Tutte assieme rientrano in un progetto articolato, promosso
dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Treviso, volto ad
aprire il dibattito sulla storia contemporanea della nostra Comunità,
utile a comprenderne l’attuale identità plurima e plurivoca.
L’argomento oggetto della presente mostra è indubbiamente
complesso e delicato, per l’attualità di molte tematiche implicate, ma
ineludibile. Occorre perciò dichiarare l’impostazione scientifica che si
è ritenuto di adottare. Fare storia comporta di necessità l’obbligo
della continua “revisione” dei dati e delle interpretazioni, che però è
cosa assai diversa dal “revisionismo” di parte.
Il fatto è che se condivisa è generalmente la metodologia
attinente il ricorso alle fonti e alle testimonianze – anche se qui la
novità sta nell’uso portante della foto storica quale documento –,
l’opera di interpretazione risente invece delle convinzioni di cui sono
portatori i diversi ricercatori.
Per evitare letture strumentali, che invece di aprire la
discussione mirino ad orientarla, si è optato per l’adozione di un
taglio problematizzante. Da un lato, idoneo alle possibilità
comunicative di una mostra che tecnicamente non può essere esaustiva e
invece ha il compito di suggerire itinerari di riflessione ed
approfondimento. Dall’altro lato, utile a sgravare lo sviluppo
argomentativo da preoccupazioni o giustificazioniste o di condanna
pregiudiziale. Anche perché, al riguardo, la storiografia (quella di
ispirazione democratica) ha già emesso il suo verdetto.
Piuttosto, si tratta di comprendere come la nostra Comunità ha
conosciuto, attraversato e superato l’esperienza del totalitarismo
politico, sociale e culturale. Al visitatore è dato così modo,
attraverso le diverse sezioni della mostra, di incrociare una pluralità
di questioni: i contraccolpi nel nostro territorio (interessato dal
cruento fronte del Piave) del primo conflitto mondiale, l’ascesa del
fascismo con i suoi protagonisti (il reducismo come nuova categoria
socio-politica e la promessa di una “rivoluzione” in grado di stabilire
un nuovo ordine), le pervasive strategie di persuasione elaborate dal
Regime attraverso l’appropriazione di ritualità pre-esistenti o la
codificazione di nuove simbologie, l’eco dei grandi avvenimenti a
livello locale (dalla battaglia del grano alla costituzione
dell’impero), gli sforzi di modernizzazione (attraverso le politiche del
lavoro, le bonifiche, gli interventi architettonici ed urbanistici,
l’attenzione all’istruzione) comunque virati in chiave ideologica, sino
alla fine della lunga tregua allorché il nostro Paese tornò in guerra.
Nell’insieme, la mostra ribadisce il concetto che la storia locale
e quella universale sono i due lati dello stesso fenomeno, ricorda che
all’esercizio – pur faticoso, imperfetto e quotidiano – della democrazia
non si dà alternativa accettabile e che la libertà è un bene non
alienabile, pena l’inesorabile scivolamento nelle logiche e nei metodi
dell’autoritarismo – con quanto da essi comportato poiché, per
parafrasare le parole del filosofo Dewey, fiero avversario delle
ideologie illiberali, i mezzi in politica sono una parte frazionaria di
quel fine che è il bene della Comunità e pertanto non è affatto vero che
il fine può giustificare i mezzi. Come stanno a dimostrare i tragici
epiloghi dei totalitarismi del XX secolo.
Luca Zaia Presidente della Provincia
Marzio Favero Assessore alla Cultura
Una mostra sul Trevigiano tra le due guerre: una mostra sul fascismo,
dunque, e cioè su un periodo del nostro recente passato ancora vivo
nella memoria collettiva e individuale, oggetto di aspre contese
culturali e politiche, alle quali, di regola, non si sottraggono neanche
gli storici.
Nell’ideare questa mostra, si è cercato di evitare tale logica in
nome di una storiografia che non si propone di far trionfare una certa
rappresentazione del passato anziché un’altra, ma che si sforza invece
di evidenziare l’inevitabile parzialità di tutte le rappresentazioni,
smontando e mostrando anche ai non specialisti quelli che sono i
meccanismi che presiedono alla costruzione del sapere storico e della
memoria collettiva; con un concomitante beneficio parallelo, di non
secondaria importanza: quello di preservare dall’oblio, in vista di
possibili riutilizzi, tutti quei frammenti del passato che nessuna delle
contrapposte memorie in competizione è disposta per il momento a
valorizzare.
La mostra presenta, dopo un’introduzione incentrata sulle lotte
del “difficile dopoguerra”, una serie di pannelli dedicati alle attività
lavorative, che lasciano intravedere, accanto a forme di
irregimentazione gerarchica della forza lavoro, l’emergere di evidenti
fenomeni di modernizzazione nell’industria, nei trasporti, nell’edilizia
pubblica e, in parte, anche in un’agricoltura le cui sorti restano però
subordinate alle scelte di fondo, di tipo industrialista e militarista,
del fascismo.
L’ampia sezione dedicata alla “costruzione del consenso” evidenzia
l’alto grado di penetrazione del fascismo nella società civile e nella
vita quotidiana: non c’è luogo od occasione nella quale i segni del
regime non facciano la loro comparsa, con effetti sulla psicologia
collettiva ed individuale intuibili, ma non ancora sufficientemente
indagati.
In ogni caso, come mostrano le foto relative all’“esibizione del
consenso”, le piazze erano effettivamente piene al passaggio del duce ed
il consenso al regime appariva quasi plebiscitario; un “quasi” che
rinvia immediatamente alle inquietanti immagini dei “sovversivi”
trevigiani schedati nel Casellario Politico Centrale. Rimane però
qualche dubbio sull’omogeneità territoriale di tale consenso: il
tradizionale distacco tra città e campagna, che il regime si sforzò
invano di colmare, influì in qualche modo sulla qualità dell’adesione al
fascismo, che appare molto più sentita tra i ceti medi piuttosto che
tra le masse contadine.
Nella maggior parte dei pannelli, si è provveduto a inserire un
breve testo di inquadramento storico che aiuta a interpretare le foto e a
individuare i criteri - più storiografici che estetici – in base ai
quali sono state selezionate: una impostazione che, per chi lo desidera,
può consentire una fruizione più approfondita e critica.
Sul piano interpretativo, da questa mostra emergono trasversalmente almeno due nodi problematici:
- le aspirazioni modernizzatrici del fascismo appaiono
costantemente imbrigliate dalla necessità di mantenere inalterato
l’assetto sociale esistente e di conservare un legame organico con i
valori della tradizione;
- il consenso viene ricercato – e forse ottenuto – ricorrendo
soprattutto a strumenti di tipo propagandistico – culturale; in
particolare, praticando, anche su scala locale, l’arte di un sistematico
“uso politico” del presente e del passato, piegati alle esigenze
contingenti del regime: i miti sembrano funzionare davvero nella società
di massa fascista.
In ogni caso, dal punto di vista storiografico si è evitato di
proporre conclusioni o giudizi definitivi, a parte quelli che possono
scaturire da frammenti di realtà documentati dalla mostra, lasciando al
visitatore il compito di formulare il proprio giudizio su un insieme
complesso di questioni.
Rimane comunque valida, in chiave generale, l’opinione espressa
settant’anni fa da un antifascista atipico come il montebellunese Mario
Bergamo, segretario nazionale del partito repubblicano costretto
all’esilio nel 1926 e mai più ritornato in patria: il fascismo va
combattuto soprattutto perchè “sforma i caratteri”, perchè fa affiorare
tra le masse sia il servilismo e l’acquiescenza acritica, sia la
tendenza alla sopraffazione e alla violenza.
E fu proprio questo, probabilmente, il vero dramma dell’Italia
dopo il 25 aprile: l’impossibilità culturale, per molti, a destra come a
sinistra, di liberarsi dai condizionamenti profondi del fascismo e da
una visione manichea della propria esperienza storica: prigionieri e
vittime di una memoria assolutizzata, incapace di rinnovarsi.
Ecco perché, nell’interesse stesso della democrazia nata dal
crollo del regime, dall’esperienza della resistenza e da una nuova
coscienza popolare, risulta necessario respingere qualsiasi
manifestazione di “fondamentalismo della memoria”, propria di ogni forma
di pensiero illiberale.
Amerigo Manesso
Livio Vanzetto
Curatori
Treviso, 29 Novembre 2003 - 18 Gennaio 2004
E-mail fast@provincia.treviso.it
Ideazione Marzio Favero Assessore alla Cultura
Ricerca storica e cura testiAmerigo Manesso, Livio Vanzetto
RealizzazioneF.A.S.T. (Foto Archivio Storico Trevigiano),
Gianluca Eulisse, Annamaria Pianon, Paola Pretto, Tiziana Ragusa, Diego
Romano, Roberto Ros
ImpaginazioneEnrico Vincenzi
Supervisione grafica e allestimentoGianantonio Battistella
Coordinamento generale Diana Melocco, Francesca Susanna
Si ringraziano
A.C.I. (Automobile Club Italia) Treviso
Arcari Editore Mogliano Veneto
Archivio di Stato Treviso
A.T.E.R. Treviso
Francesco Ballista Treviso
Rino Basso Castelfranco
Emanuele Bellò Treviso
Onorio Bernardi Treviso
Collegio Salesiano Astori Mogliano Veneto
Collegio Vescovile Pio X Treviso
Comune di Castelfranco (Biblioteca civica)
Comune di Crespano del Grappa (Archivio Conte)
Comune di Istrana (Biblioteca civica)
Comune di Montebelluna (Biblioteca civica)
Comune di Ponte di Piave (Archivio Cenedese)
Comune di S.Donà di Piave (Museo della Bonifica)
Comune di Treviso (Biblioteca civica)
Consorzio Brentella di Pederobba Montebelluna
Giancarlo De Nardi Treviso
Giorgio Garatti Treviso
Stefania Garatti Castelfranco
Museo Civico di Storia e Scienze Montebelluna
Ciro Perusini Treviso
Armando Pisanello Castelfranco
Ivano Sartor Roncade
Luigino Scroccaro Marcon (Ve)
Giuseppe Zoppelli Treviso
Fotografi pittorialisti nei fondi del FAST
FAST - Via Marchesan, 11/A - TREVISO
Ettore Bragaggia - Fotografo a Treviso
FAST - Foto Archivio Storico Trevigiano
Via Marchesan 11/A - Treviso
La mostra è stata realizzata dalla Provincia di Treviso tramite il FAST
(Archivio Fotografico Storico della Provincia)
e in collaborazione con l'ISTRESCO
(Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea della Marca Trevigiana).
La mostra è composta da 76 pannelli,
con oltre 200 foto di grande valore documentario e testi didascalici.
La mostra, basata quasi esclusivamente sull’esposizione di stampe fotografiche originali dell’epoca, negativi su lastra di vetro, lastre stereografiche positive, ugualmente su vetro, attrezzature fotografiche originali, tra cui una rara camera oscura portatile, ha la dichiarata finalità di far conoscere il patrimonio di fotografie e attrezzature presenti nei fondi fotografici trevigiani e del Veneto risalenti all’epoca del conflitto mondiale, in particolare alla luce del recente incarico affidato dalla Regione al FAST al fine di salvaguardare e catalogare le fotografie relative alla Grande Guerra (il FAST ne custodisce 1200) e presenti nelle province di Treviso, Belluno, Vicenza.
in collaborazione con
Regione del Veneto
Comune di Vittorio Veneto
Comune di Treviso
e con
ISTRESCO - Treviso
Provveditorato agli Studi di Treviso
ADREV - Venezia
Trevisani nel Mondo - Treviso
Per una memoria storica della grande guerra.
Una mostra fotografica eccezionale, scevra di richiami retorici, senza dubbio di grande valore educativo.
Palazzo dei Trecento - Treviso
Novembre 1998
Un' iniziativa su un tema di grande interesse a memoria non era mai stato affrontato prima da una pubblica amministrazione nel territorio trevigiano.
L'interesse suscitato dall'iniziativa negli studenti universitari, storici, architetti è stato notevole e sono immediatamente giunte numerose le richieste di consultazione dei Fondo in costituzione.