Nel Veneto, il saldo migratorio divenne positivo a partire dal 1968. In quell'anno entrarono nella nostra regione circa 20.000 soggetti provenienti dall'estero. Nella stragrande maggioranza dei casi, si trattava di emigrati che tornavano in patria dopo un periodo di lavoro oltre confine.
In effetti, solo a partire dalla fine degli anni ottanta si può cominciare a parlare del Veneto come di una terra di vera e propria immigrazione. Nel 1990, gli immigrati regolari - nulla di certo si può dire circa il numero dei clandestini - risultavano oltre 30.000 e nel 1995 quasi 65.000; oggi, stime attendibili (F. Coin - F. Perocco) indicano una cifra vicina ai 150.000 (di cui il 24% ex jugoslavi, il 20% marocchini, il 10% albanesi e percentuali inferiori di ghanesi, romeni, cinesi, senegalesi, nigeriani).
La questione è complessa, sfaccettata, difficile da analizzare, da interpretare e da governare. E indubbiamente, pur sussistendo parecchie analogie, sono molte le differenze esistenti tra l'immigrazione attuale e l'emigrazione storica dei veneti, qui illustrata.
In ogni caso, i pannelli finali di questa mostra non si propongono di dimostrare nulla, non intendono suggerire nè una sintesi nè un'interpretazione del fenomeno immigratorio; vogliono solo indicare un metodo e una prospettiva di lavoro: lo studio del passato può offrire strumenti interpretativi utilizzabili anche per cogliere la realtà dell'immigrazione attuale, un tema di indagine che può e deve essere affrontato col rigore metodologico che caratterizza la ricerca storico-sociale.
Su questioni così delicate e importanti per la nostra società - che coinvolgono, tra l'altro, anche la sfera delle emozioni e dei sentimenti collettivi -, nessuno può permettersi di parlare in maniera approssimativa o, peggio, strumentale. Mai come in questo caso, il richiamo all'analisi rigorosa dei fatti e alla riflessione appare opportuno, anzi doveroso.