2003 - Fotostorica 23/24 Giugno 2003 Dossier: Gli archivi fotografici del Veneto

 
 
Copertina Numero 23/24 Giugno 2003
Il mercato di Asolo, in piazza Garibaldi o Piazza Maggiore, vicino al Palazzo Comunale (1898) - Studio Ferretto (1853-1921)

Dossier: Gli archivi fotografici del Veneto


REGIONE DEL VENETO   Assessorato alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta
PROVINCIA DI TREVISO   Assessorato ai Beni Culturali

 

La Regione Veneto e gli archivi della fotografia  
Massimo Canella   Direzione Cultura Regione Veneto

 

Si sa che vantaggio e limite dell’età matura è che le nuove situazioni fanno scattare in genere ricordi: e numerosi ricordi legati al servizio in Regione mi suscita l’argomento – gli archivi fotografici veneti – su cui Adriano Favaro mi ha chiesto un appunto, in occasione della pubblicazione di un dossier ispirato a una ricerca regionale in merito.


La consapevolezza delle tematiche relative al bene culturale fotografico, mostrata un po’ discontinuamente ma con precocità dalla Regione Veneto, ha un nesso con la contemporanea istituzione all’IUAV (Istituto Universitario di Architettura – Venezia) della prima cattedra di Storia della Fotografia nella storia universitaria italiana. I primi anni Ottanta sono stati un momento di forte collaborazione fra la Regione e le Università venete, nella progettazione, secondo la mentalità dell’epoca della programmazione economica e soprattutto della programmazione territoriale. Ciò ha portato all’elaborazione di numerosi studi e anche alla produzione di importanti volumi curati da staff di docenti, con inevitabile attenzione all’aspetto iconografico, spesso curato da Italo Zannier. E Zannier, docente appunto di Storia della Fotografia, metteva sempre una punta d’attenzione pedagogica nel presentare quest’ultima non solo come  mezzo di documentazione e non tanto come riflesso della realtà oggettiva, quanto piuttosto come esercizio di un’arte e di una tecnica con una forte capacità di proporre o di influenzare la percezione e l’interpretazione della realtà: l’attività del produttore di immagine veniva non nascosta, ma piuttosto messa in evidenza nella sua natura di evento e storicizzata.

 

Ugualmente collegata con lo studio del territorio è l’importante raccolta di foto, soprattutto aeree, prodotte in relazione alla produzione della Carta Tecnica Regionale.
Nello stesso arco di tempo fummo informati della serie di attività che si andavano sviluppando nel campo della fotografia storica: gli Archivi Alinari di Firenze, l’esperienza dell’Archivio Fotografico Toscano di Prato con la sua bella rivista; la mostra su Maurizio Lotze a Verona; la valorizzazione dell’archivio fotografico Ferretto – Fini da parte della Biblioteca Civica di Teviso, le attività di Palazzo Fortuny. La produzione dei fotografi ottocenteschi veneziani fu oggetto a quel tempo anche delle attenzioni di autori come Alberto Moravia (per la fotografia populista o di genere) o un molto giovane Vittorio Sgarbi (per la documentazione storico artistica); mentre, in ambienti diversi, veniva valorizzata la produzione avente come soggetto la Venezia industriale, cui lavorava già all’epoca, fra gli altri, Daniele Resini. Da profani, cominciammo a capire la complessità dell’approccio che bisogna riservare al bene fotografico, come fonte documentaria e insieme come produzione sia artistica, sia tecnico – commerciale: da un lato la fotografia dei Veneti, dall’altro, per citare il titolo di un bel libro di Zannier, il Veneto dei fotografi.

 

Questa presa di coscienza, che è stata propria degli amministratori del tempo prima che di noi funzionari o dirigenti, si è poi tradotta, al di là dell’appoggio a manifestazioni esterne, in due iniziative di un certo rilievo.
La prima è stata la catalogazione, nell’ambito di collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Artistici Storici e Demoetnoantropologici, di 7700 negativi fotografici su lastre alla gelatina del fondo del fotografo veneziano Tommaso Filippi, lasciato in eredità al’IRE dalla vedova Elvira. Si tratta di un fondo dalla storia e dalla struttura complesse, che contiene una vera miniera di immagini su lastra, positivi, cartoline di vari autori, destinazioni e periodi, utile per i ricercatori, per la promozione turistica, per iniziative editoriali di vario genere. Le schede informatizzate costituiscono il primo nucleo del settore sui beni fotografici del Catalogo regionale dei beni culturali.

 

 La seconda è stato l’accoglimento della proposta di Zannier, e del compianto Paolo Costantini, di una sorta di censimento delle realtà di fotografia storica nel Veneto. Questo lavoro, effettuato con la collaborazione di un gruppo di giovani studiosi, ha portato alla redazione di 230 schede divise in due aree di ricerca: archivi e album. Vi sono contenuti anzi tutto i dati anagrafici di ogni archivio e il nome del suo responsabile, e le informazioni sulle tipologie dei materiali fotografici conservati e su album, soggetti ed autori. Alla fine degli anni Novanta esso è stato ripreso per procedere al necessario aggiornamento: delle 230 realtà censite nel 1991 hanno risposto in cinquanta, di cui 26 hanno autorizzato la diffusione pubblica dei dati attraverso il sito Internet www.regione.veneto.it/cultura, dove essi sono attualmente reperibili. Approfitto dell’occasione per invitare chi non ha ancora ritenuto di aderire a quest’iniziativa a farlo ora, o a segnalare eventuali inesattezze: essa cerca di assicurare un servizio che vuole facilitare i percorsi di ricerca (costruibili a partire sia dal fondo, sia dall’autore, sia dal soggetto), e stimolare magari iniziative ulteriori.

 

Consapevole della validità di questa iniziativa, credo ugualmente che abbia avuto ragione l’assessore regionale Serrajotto nel dire, alla presentazione trevigiana del 7 febbraio di quest’anno del dossier di Fotostorica sulle foto della Grande Guerra, che si è trattato di “valide iniziative che non sono arrivate ad assumere la valenza di un progetto regionale di largo respiro”. Una funzione importante, che ha superato sotto certi rispetti il vincolo che la lega organicamente al suo territorio, va riconosciuta alla Provincia di Treviso, che col FAST (Foto Archivio Storico Trevigiano) ha saputo dialogare anche con le amministrazioni locali per conservare e valorizzare i molti preziosi fondi fotografici presenti anche nei piccoli centri, riguardanti temi forti dell’identità veneta come le tradizioni, le architetture rurali, il paesaggio – e naturalmente quell’evento così determinante per le popolazioni di qua e di là del Piave che è stata la Grande Guerra. Ed è proprio a questo riguardo e con la collaborazione del FAST che la Regione ha fatto qualche passo su una via poco esplorata; la valorizzazione dei fondi fotografici utilizzati o depositati presso i musei, le biblioteche e gli archivi di ente locale o di interesse locale, il cui ordinamento rientra fra le sue competenze. Si sono dovute affidare la scelta delle modalità di rilevazione catalografica, prendendo atto della diversità dei sistemi adottati all’interno dei beni artistici e dei beni librari e della non univocità delle interpretazioni delle norme di ognuno dei sistemi, e l’accertamento della titolarità dei diritti, collegata con l’individuazione delle vicende dei fondi; ci si è resi conto che le esigenze della salvaguardia della quota maggiore possibile di patrimonio fotografico imporrà spesso in futuro di accontentarsi in un primo momento dell’inventariazione e di descrizioni sommarie. Ma più importante ancora di queste attività mi sono sembrate le forme di collaborazione, cui ha partecipato anche il Centro Provinciale di Servizio per le biblioteche, per promuovere una coscienza della natura del bene fotografico nelle strutture di conservazione con diverse finalità e senza sezioni specialistiche: attività formative e di aggiornamento per bibliotecari e archivisti che dessero loro le competenze non catalografiche, ma tecnico – fotografiche minime per far fronte alla conservazione dei patrimoni loro affidati, a parer mio da continuare ed estendere.

 

Sempre al tema della Grande Guerra è collegata l’acquisizione del nucleo più significativo della sezione “fototeca” della Mediateca della Regione Veneto, ora ospitata nella Villa Settembrini di Mestre: un gruppo di circa 3.600 riproduzioni, acquisite coi relativi diritti, di foto provenienti dal Museo del Risorgimento ospitato nel Vittoriano di Roma. L’utilizzo di queste immagini non è stato finora molto intenso, anche se vanno ricordate alcune belle iniziative espositive ed editoriali animate dal gruppo di Ponte di Piave di Eugenio Bucciol. Ma, se tutto andrà bene, esse presto saranno disponibili, assieme alle altre immagini fotografiche o audiovisuali della Mediateca, in una rete telematica attivata fra la Mediateca stessa e le sale multimediali da alcune biblioteche venete finanziata dallo Stato nell’ambito del progetto Mediateca 2000 a valere sui proventi della vendita delle concessioni delle frequenze per i telefonini di ultima generazione. Se tutto andrà bene, grandi possibilità si apriranno con l’estensione di questa rete, per la tutela e la valorizzazione dei nostri patrimoni di immagini. In queste cose bisogna sapersi rendere disponibili al nuovo senza inerzie o riserve: perché è vero, come dicevo all’inizio, che l’esperienza è indispensabile, ma è anche vero quel che diceva Wittgenstein, che “bisogna saper buttare la scala che si è usata per salire”, ed andare avanti.

 

Gli Archivi Fotografici del Veneto
Adriano Favaro   Direttore responsabile Fotostorica

 

Con questo numero Fotostorica apre una finestra dedicata agli archivi fotografici del Veneto: nelle nostre intenzioni questo Dossier ed i successivi che seguiranno su questo specifico tema, dovrebbero permettere di presentare progressivamente le varie realtà archivistiche di fotografia storica presenti nella nostra regione.
Fotostorica infatti, oltre ad effettuare volta a volta un’analisi di temi tecnici e specialistici della fotografia storica, in una visione nazionale, ha operato anche e principalmente per la diffusione e la conoscenza della cultura regionale per il tramite della fotografia, con una operazione che, nell’ultimo decennio, è stata resa possibile grazie ad una nuova sensibilità per la salvaguardia della memoria e delle tradizioni locali.
Questa sensibilità ha portato ad un sempre più vasto intervento degli Enti Locali finalizzato alla raccolta di immagini fotografiche provenienti dalle più disparate fonti, ai fini di una loro tutela ed uso culturale pubblico .
È una operazione nella quale gli enti territoriali del Veneto hanno per certi aspetti anticipato una politica nazionale in ritardo rispetto ai bisogni culturali del territorio: a Treviso la Provincia può contare ad esempio su un archivio fotografico operante da ben 12 anni ed ha finanziato a più riprese, spesso con il sostegno della Regione Veneto, specifici interventi nel campo della fotografia storica per diffonderli poi attraverso le pagine di questa rivista.
Altre realtà di iniziativa nel campo della fotografia si sono poi affacciate alla ribalta a Venezia, Padova, Verona, ed in tanti comuni del territorio trevigiano, a Pieve di Soligo, a Castelfranco, a S. Polo di Piave, a Vittorio Veneto, a Ponte di Piave, ecc.
Dunque l’intervento degli Enti Locali veneti ha frequentemente permesso una valorizzazione delle raccolte di fotografie storica conservate presso le più disparate realtà della regione, quali musei, biblioteche, archivi, associazioni, industrie, redazioni, ospedali, università, forze armate, istituti scolastici, collezionisti privati ecc.: si tratta di luoghi in cui sono disponibili significative informazioni sulla storia delle più diverse attività umane, la cui tipologia varia a seconda delle finalità per cui queste raccolte sono state costituite, permettendo spesso un loro uso anche quali fonti di nuovi dati etno-antropologici da parte di diverse discipline storiografiche. Va sottolineato come nello svolgersi degli interventi di salvaguardia di detti archivi si siano spesso palesate difficili condizioni di conservazione, una catalogazione effettuata a volte con metodi sommari e non idonei comunque al trattamento di materiale fotografico storico, una riproduzione di tali immagini concessa all’utenza, ma effettuata in certi casi senza le dovute precauzioni per quel che attiene l'osservanza di vincoli normativi (privacy, copyright, ect.), evidentemente pesando la carenza di specifica formazione degli operatori stessi.

È un campo d’intervento dove molto vi è ancora da costruire e nel quale trova un suo specifico ruolo questa rivista, finalizzata appunto a comunicare e divulgare la cultura della fotografica storica, in questo caso portando alla luce su queste pagine la vasta realtà degli archivi della fotografia veneta.  

 

Come intervenire sugli Archivi della Fotografia: indicazioni operative

Italo Zannier

 

Scaletta operativa per un primo intervento scientifico sugli archivi della fotografia.

 

- ritrovamento

- individuazione
- primo soccorso
- trasferimento
- riproduzione
- catalogazione
- archiviazione
- conservazione
- restauro
- veicolazione

 

1. “Ritrovare-individuare...” ; “scoprire” significa oltretutto capire l’importanza dell’archivio, anche se piccolo e famigliare, come può essere un Album conservato in un cassetto; ma per ciò è necessario conoscere la fotografia nei suoi elementi storici essenziali, altrimenti ci si riferisce soltanto all’importanza iconografica, sempre che anche questa sia “riconosciuta”; insomma, è necessaria una “cultura della fotografia” e se questa non c’è bisogna affidarsi all’esperto, ma che sia veramente tale.

 

2. “Primo soccorso” ; non spostare gli oggetti fotografici ritrovati, o perlomeno non sconvolgerne l’assetto, registrarne la loro collocazione, relazione e sequenza, fotografare l’insieme, in modo di poter “ricostruire” la situazione del ritrovamento, che a volte può essere significativa del lavoro e delle intenzioni del collezionista, dello studioso, del conservatore, per i più vari motivi, che non sempre sono importanti, ma che all’occorrenza debbono essere rintracciabili. In sintesi, non intervenire è già un valido “soccorso”.

 

3. “Trasferimento” ; I’Archivio ritrovato andrà probabilmente “trasferito” ed è quindi necessario fare un “progetto”, innanzitutto relativo al “luogo”, anche dello stesso edificio, dove le fotografie - in lastra di metallo, vetro, celluloide o in positivo su carta, che necessitano di una diversa delicatezza di trattamento -, andranno collocate, sia pure provvisoriamente. E senza traumi ambientali di temperatura e di umidità, verificando la situazione in precedenza (meglio in una stanza interna e senza riscaldamento, ecc., in armadi di metallo verniciato a fuoco, ecc., in scatole di cartone a ph neutro, ecc.); se il trasporto è fatto su strada (o in barca, se avviene in laguna), si tenga conto delle vibrazioni e anche dei rischi di improvvisi nubifragi ecc., sistemando in contenitori impermeabili, oltre che ammortizzati.

 

4. “Riproduzione” ; ogni singola immagine va subito fotografata, meglio se con pellicola diapositiva a colori, accoppiandola a un test cromatico; è sufficiente il formato 24x36, economico oltretutto, e che in seguito consentirà molte altre operazioni e utilizzazioni, anche mediante “duplicati”: per l’editoria, la didattica, lo studio iconografico, ecc.; se si tratta di negativi in b/n, ricavare le “impronte” a contatto.

 

5. “Catalogazione” ; le immagini andranno collocate secondo schede omologhe digitalizzate, che si spera vengano presto definite (e “imposte”) a livello globale, ma, per ora, sarà sufficiente affidarsi a uno schema semplice, elementare, dove si indica soltanto: il nome dell’autore dell’immagine (se c’è o, altrimenti, si scriva “non indicato” o “non identificato”), il soggetto, con un titolo originale oppure attribuito, la data (o s.d. senza data o ca., ossia circa), la tecnica (del positivo e, se conosciuta, del negativo), le dimensioni (altezza x base, in millimetri), lo stato di conservazione, la fonte e la committenza (se si conosce, ed è un dato importante), I’eventuale bibliografia, ecc., lasciando al futuro, in una seconda parte della scheda, la descrizione iconografica, che investe molte discipline, non sempre conosciute dal catalogatore.

 

ó. “Archiviazione” ; le immagini originali, sia in negativo che in positivo, vanno sistemate secondo le regole convenzionali in un ambiente dal microclima a bassa o media umidità (60% circa) e temperatura (20/24°C), ma senza “drammi”, se i dati oscillano un poco; la consultazione degli originali dovrebbe essere consentita soltanto eccezionalmente, perché l’immagine, perlomeno nella sua iconografia, sarà resa nel contempo leggibile in altro modo, nella diapositiva, o in un CD Rom, ecc.; è però necessaria una verifica dello stato di conservazione, per campione, almeno ogni anno.

 

7. “Conservazione” ; le lastre di vetro, al collodio, alla gelatina, ecc., andrebbero sistemate verticalmente in speciali contenitori, ma in mancanza è preferibile lasciarle nelle eventuali scatole originali, semmai isolandole una dall’altra con un foglietto di carta a ph neutro; i negativi su pellicola di celluloide, come è noto, vanno divisi e allontanati, se si tratta di supporti “antichi” al nitrato di cellulosa oppure più recenti all’acetato, perché i primi sono autoinfiammabili, ecc.; i positivi, soprattutto quelli del secolo scorso, vanno sistemati “in orizzontale”, nelle scatole di cartone a ph neutro, ma non in numero eccessivo, ossia circa venti fotografie per scatola, per evitare, oltre al peso, un’eccessiva opera di “ritrovamento”. Per i dagherrotipi, i calotipi e altre immagini ottenute con rare e delicate alchimie fotografiche, l’isolamento e la sistemazione debbono essere più attentamente curati.

 

8. “Restauro” ; meglio non intervenire, se non si è in grado di affidare l’operazione a chi è veramente competente, ma in ogni caso è meglio “diffidare” e comunque procedere “otticamente” (o via computer, ecc.), e comunque, salvo casi conclamati, non procedere chimicamente e neppure con “semplici” lavaggi in acqua; l’immagine originale, a mio avviso, deve conservare la sua “vecchiaia”, anche lo sbiadimento, perché quella è la sua vita.

Se si vuole individuare meglio gli elementi iconografici, ciò è oggi possibile, entro un certo limite, con mezzi video-elettronici. I tradizionali interventi chimici, fortunatamente in parte abbandonati, snaturano al solito l’immagine; come in altre metodologie di restauro (pittura, architettura...), il problema è “ideologico”.

 

9. “Veicolazione” ; s’intende la diffusione delle immagini fotografiche, che nella maggior parte avviene per via editoriale ed espositiva, o per proiezione e per trasmissione video, Internet, ecc. Dalla “matrice” di riproduzione 24x36 inizialmente ottenuta dall’originale, è possibile offrire immagini sia per la stampa editoriale (monocromatica, bicromatica o a colori), sia per la didattica (con la proiezione dei diacolor, ecc.), sia per la trascrizione elettronica in CD Rom o la veicolazione televisiva e Internet.

Per la esposizione “in mostra”, è necessario distinguere tra le rassegne iconografiche “a tema”, e quelle invece specificamente “fotografiche” .

Nel primo caso è lecito trasferire l’immagine su qualsiasi supporto e dimensione, indipendentemente dall’“originale”, funzionale alla esposizione, ma avvertendo il visitatore che si tratta di una “trascrizione” (al solito si dice “riproduzione”), indicandone però gli estremi nella didascalia; se si tratta di una rassegna “specifica” (ossia “sulla fotografia”), le immagini andranno sistemate in cornici assolutamente senza l’uso di adesivi, ma sistemando delicatamente (nel trattamento è d’obbligo l’uso di leggeri guanti di filo bianco) le immagini su di un supporto di cartone neutro, con gli “angolini” applicati in precedenza secondo le misure della fotografia; sono accettabili anche quelli di cellophan che si trovano in cartoleria.

Sopra va sistemato il passepartout, con la “finestra” ritagliata possibilmente a 45°; così l’immagine viene distanziata dal vetro o dal perspex di protezione.

E, per finire, la luce generale dell’ambiente dovrebbe essere inferiore ai 150 lux, ma per i dagherrotipi e i calotipi ed altre delicate immagini antiche, il massimo, a mio avviso, è 50 lux, la cui durata di illuminazione è regolabile con un timer comandato con un pulsante dal visitatore, con cui si evita che le immagini siano costantemente influenzate dal flusso luminoso. Il tempo di lettura potrà essere di circa 10 secondi.

Chi ha maggiore curiosità e interesse, può sempre imprimere un nuovo ordine all’interruttore.

Nel prossimo futuro, comunque, dovremo abituarci a vedere le fotografie soltanto in riproduzione, per evitarne la progressiva distruzione. Ma si dovrebbe sempre esporre un “campione” originale, per assecondare l’interesse scientifico del visitatore e offrire una misura di valutazione; la fotografia è immagine particolarmente delicata, forse non più di altre tipologie grafiche, ma nasce dalla luce e nella luce può anche morire.

 

Da   “Gli archivi della Fotografia. Problematiche”   di I. Zannier in Fotostorica n. 1-1998

 

L’Archivio Fotografico della Biblioteca Comunale di Bassano

 

Denominazione Museo - Biblioteca - Archivio  
Comune Bassano del Grappa  
CAP 36061
Indirizzo Via Museo 12
Telefono 0424 522235-36
Fax 0424 523914
Sito WEB http://www.x-land.it/museobassano

E-mail museobas@x-land.it

 

Il Museo Civico di Bassano conserva al suo interno numerosi ed interessanti materiali fotografici storici:

 

- Fondo Fasoli: n. 39 negativi a tecnica calotipica del 1853
- Raccolta di n. 1360 immagini inerenti vie e piazze di Bassano risalenti al periodo tra il 1910 e il 2000

- Serie di album e fotografie sciolte (complessivamente n. 900 tra originali e riproduzioni) riguardanti la prima guerra mondiale
- Lascito Agostinelli, n. 630 immagini diverse
- Dono Eredi G. Cecchin, n. 1070 fotografie e n. 500 diapositive 24x36 mm, inerenti la prima guerra mondiale
- Immagini diverse per complessivi n. 5.000 esemplari

Di Andrea Fasoli (1831-1904), fu tra i pionieri della fotografia nel Veneto il Museo di Bassano conserva diversi negativi a tecnica calotipica, qui pervenuti per lascito della vedova e compresi in una raccolta di 39 riprese intitolata in autografo “Primi esperimenti con obiettivo semplice e camera di mia fabbricazione, come pure la carta cerata, e albuminata. I preparati chimici quasi tutti fabbricati da me” e segnata in copertina “Negative in carta cerata. 1853”.  
Le immagini riprendono vari aspetti della città di Bassano, le rive del Brenta, il Castello, le piazze del Centro Storico

 

I Fondi Fotografici dell’Archivio Storico Comunale di Venezia

 

Daniele Resini

Denominazione Archivio Storico Comunale
Comune Venezia
CAP 30124  
Indirizzo Campo della Celestia - Castello n. 2737/F
Telefono 041.5289261
Fax 041.5239312
E.mail celestia@comune.venezia.it
Sito WEB http://www.comune.venezia.it/urbanistica

 

L’Archivio Storico Comunale di Venezia custodisce principalmente la documentazione cartacea di atti, delibere, carteggi, lettere, delle Municipalità di Venezia dal 1806 e di Murano, Pellestrina e Burano fino al 1926, data del loro scioglimento e annessione al Comune di Venezia. L’Archivio ha anche giacenti vari fondi – o raccolte di materiali fotografici – con caratteristiche e consistenze diverse. Essi sono il prodotto di acquisizioni o provengono dal patrimonio stesso dell’Archivio.
Negli ultimi anni è stata realizzata un’ampia opera di catalogazione di diversi fondi, utilizzando, prima a livello sperimentale la scheda FT dell’ICCD, poi, con la pubblicazione del primo catalogo del fondo Giacomelli, la definitiva scheda F.
Possiamo definire quattro categorie differenti di giacenze:


- il Fondo Giacomelli, un vero e proprio fondo fotografico proveniente dall’acquisto, effettuato dal Comune di Venezia, nel 1995, dell’archivio dello Studio Giacomelli, comprendente circa 180.000 negativi databili prevalentemente fra il 1920 e il 1970, di cui una parte consistente su lastre in vetro alla gelatina bromuro d’argento. Il Fondo è stato inventariato e sono state catalogate, con l’acquisizione digitale dell’immagine e la scheda ICCD, oltre 9.000 fra lastre e pellicole, prevalentemente riferite agli anni trenta. Nel novero delle immagini Giacomelli, vanno inseriti numerosi positivi provenienti da raccolte e archivi privati.


- altri fondi o raccolte di negativi acquisiti da varie fonti   (per mezzo di compravendita e per cessione). È il caso di una consistente quantità – circa 1.500 – di negativi facenti parte dell’archivio dello studio Ferruzzi, uno studio cittadino affermatosi dagli anni venti del Novecento e, anche se meno importante di Giacomelli, titolare di numerose commesse di enti e importanti industrie. L’archivio è andato disperso in numerose operazioni di vendita a vari collezionisti e speculatori. Di questo fondo, sono stati recuperati spezzoni tematici importanti, come quelli riguardanti la documentazione su alcune aziende industriali di Portomarghera e del porto di Venezia. In questo ultimo contesto, l’Autorità portuale di Venezia, dopo aver finanziato la catalogazione e il ricondizionameno delle immagini sul Porto del fondo Giacomelli, di quelle dell’archivio Ferruzzi già conservate alla Celestia, ha depositato presso l’Archivio Storico Comunale anche i negativi (in gran parte ancora di Ferruzzi) e i positivi provenienti dal suo archivio.


- fondi o raccolte di positivi originali acquisite da varie fonti.   Fra esse, molti positivi provenienti da stampe di negativi Ferruzzi. In tal modo, come per Giacomelli, si sta tentando di ricostruire, il più possibile, la consistenza originaria di tali fondi, danneggiata da distruzioni e/o alienazioni. Altri, provengono da acquisti (come un album sulla prima guerra mondiale) o cessioni e trasferimenti: è il caso di circa 3.000 positivi – acquisiti per donazione – sull’industria di Portomarghera, di vari pezzi storici provenienti da raccolte di famiglia, o di altre centinaia di positivi sulla struttura urbanistica di Venezia e del territorio, sulle istituzioni comunali, su lavori pubblici, trasferiti da assessorati non competenti.

 

- Positivi originali allegati alla documentazione cartacea.   Tale giacenza, in costante evoluzione per i continui ritrovamenti, comprende oltre un migliaio di esemplari, fra cui numerose stampe all’albumina di grande formato. Si tratta delle fotografie che accompagnano le “carte” come veri e propri documenti allegati alle pratiche. Tale consuetudine, iniziata nella seconda metà dell’Ottocento, si è via via estesa fino a costituire una sorta di documentazione parallela prodotta prevalentemente in occasione di richieste di licenze edilizie, permessi di edificazione o trasformazioni di stabili.

Non mancano immagini di cerimonie, eventi, o diversissime occasione in cui la testimonianza visiva era probante per le istituzioni coinvolte. Fra queste, il funerale dei fratelli Bandiera, nel 1866, la scomparsa chiesa di San Paternian, nel 1874, le gondole funebri nel 1870, la serie delle “nuove” divise delle guardie e degli ufficiali Comunali.
In varie occasioni, inoltre, sono state realizzate riproduzioni, su pellicola di grande formato, di positivi originali temporaneamente in possesso dell’archivio ma poi riconsegnati ai proprietari.

 

L'Archivio privato Aldo Rossi presso l’Archivio di Stato di Rovigo

Denominazione Archivio di Stato di Rovigo  
Comune Rovigo  
CAP 45100  
Indirizzo via Sichirollo 9  
telefono 0425.24051  
Fax 0425.25613  
Sito WEB http://archivi.beniculturali.it:8000/ASRO/index.html  
E-mail 081@rpv.beniculturali.it

 

L’Archivio di Stato di Rovigo, istituito nel 1964, è ospitato fin dalla sua apertura, nel 1967, nell’ex sede del Seminario vescovile in via Sichirollo, un complesso monumentale prestigioso progettato dall’architetto vicentino Domenico Cerato intorno al 1777-1778.  
Tra i tanti archivi custoditi all’interno di questa istituzione, e di notevole interesse per lo studioso di fotografia, vi è l’Archivio privato di Adolfo Rossi (1857-1921), grande giornalista discepolo spirituale di Alberto Mario, diplomatico, ministro plenipotenziario in Paraguay ed infine Console generale in Argentina. Pur modesto quantitativamente (11 buste), il suo archivio, costituito prevalentemente di ritagli di giornali, fotografie, articoli, libri, cimeli, si rivela interes-santissimo per la ricchezza e varietà di informazioni che spaziano dalla guerra d’Abissinia alle vicende politiche euro-pee, dalle condizioni di vita del contadino polesano a quelle degli emigrati negli Stati Uniti e nel Sud America.
Ma l’Archivio di Stato di Rovigo conserva ovviamente al suo interno altri importantissimi fondi archivistici quali ad es. l’Archivio Notarile che, con le sue varie serie, costituisce in certo qual modo l’ossatura della documentazione rodigina, con i suoi sei secoli di storia ininterrotta e le sue 2.000 unità tra protocolli, originali, minute e indici.  
Vi sono poi conservati gli archivi delle Istituzioni monastiche, dei primi Consorzi di bonifica, i vari archivi di uffici pubblici che affondano le proprie radici nel periodo della grande rivoluzione amministrativa napoleonica ad es. quelli della Giudicatura di pace (1806-1813) e del Tribunale (1807-1950); gli archivi dello Stato civile (1806-1815) e della Camera di Commercio (1801-1944), quest’ultimo particolarmente significativo per la conoscenza dello sviluppo economico del territorio tra ‘800 e ‘900 e i successivi uffici giudiziari (Preture e Giudizio politico) e la Delegazione Provinciale.
Con l’avvento del Regno d’Italia e la ridefinizione globale di tutto l’apparato burocratico del regno, si assiste alla istituzione degli archivi di nuovi uffici pubblici, come quello della Provincia (1867-1928).  
Vanno poi menzionati gli archivi degli antichi Istituti di benefi-cenza e di cura rodigini quali Lazzaretto (1506), “Zitelle” (1615) e “Orfani” (1617) nella più recente Congregazione di carità e infine negli Istituti Riuniti di Assistenza Sociale (1506-1967). Non meno interessante il materiale antico confluito nel fondo dell’Intendenza di Finanza (1867-1942), in cui son conservati, fra gli altri, carteggi relativi agli antichi beni feudali ed eccle-siastici.
Tra gli archivi nati dopo l’Unità particolarmente importante si dimostra nei vari campi di ricerca storica quello della Prefettura e della Questura (1901-1949), prima fra le quali il Casellario politico centrale (1894-1986), fonte primaria per la storia della dissidenza politica nel novecento, all’interno della quale spicca il nome di Giacomo Matteotti.  
Un cenno a parte fra i tanti fondi archivistici merita sicuramente l’Archivio Storico del Comune di Rovigo (1800-1930 ca.), depositato una quindicina di anni or sono presso l’Archivio di Stato, e che è fonte privilegiata per innumerevoli indagini storiche, da quelle storico-architettoniche (consultatissimi i carteggi “d’Ornato”) a quelle urbanistiche, biografiche (utilissimi i 58 registri dell’anagrafe austriaca), a quelle infine relative ai vari settori della vita rodigina tra ‘800 e ‘900, dalla pubblica istruzione alla Fiera, dalle attività commerciali alle prime attività industriali.

 

Il Fondo Fotografico del Museo dell’Automobile Enrico Bernardi dell’Università di Padova

Denominazione Museo Enrico Bernardi  
Comune Padova  
CAP 35131  
Indirizzo via Venezia, 1  
Telefono 049.8276775  
Fax 049.8276785  
Sito WEB http://www.unipd.it/main/storia.htm

 

L’istituzione del Museo Bernardi presso l’Istituto di Macchine dell’Università di Padova, ebbe luogo nel 1941, in occasione del centenario della nascita del professore Enrico Bernardi, pioniere italiano dell’automobilismo: quando a seguito di un lascito degli eredi fu possibile raccogliere materiali di interesse storico e scientifico che testimoniano il genio inventivo e precursore del Bernardi e costituiscono un punto di riferimento per gli studiosi dell’evoluzione tecnologica nelle costruzioni motoristiche.
Il Museo ebbe una prima organica sistemazione ad opera del prof. Mario Medici, allora direttore dell’Istituto di Macchine, ha ora sede presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica, del quale Istituto di Macchine fa parte.
Il Bernardi (Verona 1841-Torino 1919) cominciò ad occuparsi di motori a combustione interna intorno al 1870.
Uomo poliedrico, il Bernardi aveva molteplici interessi in vari settori della tecnologia del suo tempo: tra queste passioni va sicuramente annoverata la fotografia: operava in un laboratorio fotografico dove effettuava applicazioni e sperimentazioni fotografiche; possedeva diversi apparecchi fotografici folding e per fotografia stereoscopica. Sono custodite presso il museo numerose scatole di lastre fotografiche negative, pellicole, autocromie che documentano soprattutto i numerosi brevetti in campo automobilistico.

 

L’Archivio Fotografico della Biblioteca Universitaria di Padova

Denominazione Biblioteca Universitaria
Comune Padova  
CAP 35121  
Indirizzo via S. Biagio 7  
Telefono 049.8240211
Fax 049.8762711  
E.mail bupd@librari.beniculturali.it
Sito WEB http//unipd.it/bibliotecauniversitaria

 

L’archivio fotografico della Biblioteca Universitaria di Padova comprende oltre 3600 immagini positive e circa 1500 immagini negative (tra queste ultime 9 lastre alla gelatina). Si tratta nella grande maggioranza di immagini relative al proprio patrimonio bibliografico raro e di pregio: negli ultimi anni sono state realizzate documentazioni fotografiche pressoché complete relative alle miniature presenti nei manoscritti e negli incunaboli, nonché ai manoscritti datati fino all’anno 1500.
Parte della documentazione riguarda la sede della biblioteca (sia quella attuale sia la precedente, la Sala dei Giganti al Liviano, in funzione fino al 1912) e la protezione antiaerea attuata durante la seconda guerra mondiale. Particolarmente notevole una collezione di 264 foto che illustrano vari aspetti della Padova novecentesca e del suo territorio, donata negli anni Ottanta del Novecento da Sergio Nave, studioso delle vicende cittadine ed appassionato ricercatore; una speciale importanza vi hanno le immagini, in buona parte inedite e acquistate presso archivi miliari americani ed inglesi, delle distruzioni operate dai bombardamenti del 1943-45.  
È in fase di acquisizione una serie di 700 diapositive relative alle legature medievali presenti in biblioteca, richieste all’Istituto centrale per la patologia del libro che le detiene.
L’archivio è consultabile nell’orario di apertura della biblioteca (lunedi-venerdi 8.30-19.30, sabato 8.30-13.30); le richieste vanno presentate in sala manoscritti (8.30-13.00, 14.30-18.30), dove sono poste direttamente a disposizione del pubblico, ordinate in album, le foto delle miniature e dei manoscritti datati. A richiesta e nel rispetto della normativa vigente sono possibili riproduzioni.

 

Il Foto Archivio Storico Trevigiano

Denominazione F.A.S.T. - Foto Archivio Storico Trevigiano  
Comune Treviso  
CAP 31100  
Indirizzo via S. Liberale 8  
Telefono 0422.656139  
Fax 0422.410749  
Sito WEB http://www.fast.provincia.treviso.it 
E-mail fast@provincia.treviso.it

 

Le oltre 200.000 immagini conservate presso l’Archivio Fotografico Storico della Provincia di Treviso consentono di studiare l’arte e la storia del Veneto, permettendo di esplorare e analizzare nei dettagli ogni aspetto della vita quotidiana, dei costumi, delle tradizioni, dell’evoluzione del territorio, dei centri abitati, dell’edilizia rurale, dell’archeologia industriale, dal 1860 fino agli anni sessanta di questo secolo.
Patrimonio di immagini:


- Fondo Fotografico Giuseppe Fini: n. 17.000 lastre fotografiche
- Fondo Fotografico Giuseppe Mazzotti: n. 120.000 immagini
- Fondo Fotografico Giovanni Marino: n. 300 positivi a stampa
- Fondo Fotografico Giuseppe Gnocato: n. 20.000 positivi e negativi
- Fondo Fotografico Istituto J. Riccati: n. 3.000 diapositive
- Fondo Fotografico Giovanni Paggiaro: n. 4.000 lastre fotografiche e le attrezzature dello studio
- Fondo Nicola Perusini: n. 400 immagini
- Fonfo Fotografico Ettore Bragaggia n. 6500 immagini
- Fondo Fotografico Ferdinando e Bruna Forlati: n. 10.000 immagini

Nei diversi fondi fotografici qui custoditi vi sono oltre cento anni di storia e di costume veneto sistematicamente documentati dall’occhio della fotocamera e interpretati da maestri dell’immagine come Ferretto, Fini, Mazzotti, Gnocato e altri.
L’utilizzo del patrimonio di immagini conservato nell’Archivio Fotografico Storico, coinvolge utenti diversi: istituti universitari, editori, storici, architetti, enti pubblici, studenti, case di produzione cinematografica ecc.
L’Amministrazione Provinciale ha dotato l’Archivio Fotografico di un avanzato sistema informatico che permette l’acquisizione, la memorizzazione, la gestione e la stampa delle immagini e delle relative schede di catalogazione.
L’Archivio Fotografico Storico in questi anni ha organizzato diverse importanti mostre fotografiche, spesso in collaborazione con Enti Locali e associazioni del territorio: “L’Arte Ferita”, “Conegliano... ai bei tempi”, “Il Progetto di restauro e ricostruzione del chiostro dell’abbazia cistercense Santa Maria di Follina dell’architetto Giuseppe Torres - 1897”, “La Grande Guerra nel trevigiano”, “Bepi Fini nel FAST”, "L'emigrazione trevigiana e veneta nel mondo", “Fotografare la Grande Guerra”, ecc

 

Il Fondo Fotografico Vittorio Varale della Biblioteca Civica di Belluno

Denominazione Biblioteca civica del Comune di Belluno
Comune Belluno
CAP 32100
Indirizzo Palazzo Crepadona Via Ripa, 3
Telefono 0437-25727
Fax 0437-941051
Sito WEB http://biblioteca.comune.belluno.it/storia.html-
E-mail biblioteca@comune.belluno.it

 

La Biblioteca Civica di Belluno conserva al suo interno, oltre ad una raccolta di 213 fotografie inerenti la storia di Belluno e provincia databili dalla fine dell’800 ai primi anni ‘50 del novecento, anche l’importante fondo fotografico Varale.
Il Fondo consiste in oltre 1000 fotografie non ancora inventariate relative a ciclismo, alpinismo, sport vari, dalla fine dell’800 fino al 1973 anno della morte del giornalista Vittorio Varale.
Egli nacque a Pie’ di Monte d’Alive (CE) nel 1891 da genitori piemontesi. Scrisse lui stesso in un’autobiografia destinata ad un editore: “A 10 anni sono ritornato al nord. Unico sostegno della famiglia, a 17 anni tronco gli studi, mi impiego in un’impresa di costruzioni, mio compagno d’ufficio è un giovane ragioniere, che è stato in Svizzera e in Inghilterra a imparare le lingue, si chiama Vittorio Pozzo.” Nel 1909 il nome di Varale appare sulla Gazzetta dello Sport, autore della biografia di Giovanni Gerbi, il più popolare campione ciclista dell’epoca. È l’inizio di quella carriera che cesserà soltanto negli ultimi anni della sua esistenza. Collaborò con le più prestigiose testate: Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport, La Stampa, Il Secolo Illustrato, Tempo, Gazzetta d’Italia, Il Resto del Carlino, sono alcune testate che lo ebbero come collaboratore. Nel giornalismo fece di tutto, “il redattore, il redattore capo, il direttore, l’inviato speciale, il corrispondente politico, il trombettiere della stampa, il correttore di bozze, l’archivista, il cronista sportivo, il corrispondente di guerra”. Come giornalista sportivo si dedicò principalmente al ciclismo e all’alpinismo, fu cronista in 20 Giri di Francia, 30 Giri d’Italia, altrettante e forse più Milano-Sanremo, Giri di Lombardia, e tante altre corse in linea e a tappe. Degli anni 40 scrisse: “dei giornalisti che seguivano le corse ciclistiche dei primi decenni del secolo, due finirono in sanatorio, la loro professione li obbligava a mangiare il polverone sollevato dai ciclisti e dalle automobili al seguito, a quei tempi l’inviato speciale doveva fare tutto da sé, non vi erano i mezzi moderni come telefax ecc. Venivano spedite le notizie ancor prima di lavarsi la faccia da quella patina di polvere e fango, egli redigeva il servizio in condizioni sempre disagiate in una sala di telegrafo fra il via vai della gente, oppure al tavolo di un bar tra avventori spesso avvinazzati, poi affrontava il supplizio di trasmetterlo per telefono su linee infami, esposte agli sbalzi perché aeree, dettato alla cieca da Catanzaro o da Bordeaux sgolandosi nel microfono e sillabando le parole una per una per avere la certezza che dall’altro capo del filo lo stenografo le raccogliesse con approssimativa fedeltà. Importanti furono anche i due volumi “Binda il nuovo campionissimo”, del 1927 e “Learco Guerra nel suo tempo” del 1932. Per l’Alpinismo, condiviso con la moglie Mery, fu ardente e polemico scrittore. Ricevette per la duplice attività di scrittore e giornalista diversi premi: Pirelli, USSI, Bancarella Sport, Estense, oltre a due premi letterari CONI per i libri di Alpìnismo, nel 1969 ottenne anche il premio Saint Vincent per l’appassionata attività di giornalista svolta durante mezzo secolo. Dimostrò appieno la predisposizione all’analisi documentarista mossa da spirito battagliero. Sarà all’alpinismo, a cui giunse per merito della moglie Mery forte sestogradista, che dedicherà dagli anni sessanta alla morte la maggior parte della sua attività di scrittore, “La Battaglia del Sesto grado” è per davvero un libro di verità e di amore per lo sport di arrampicamento, nel quale Varale è riuscìto ad operare la sintesi di un’epoca attraverso la sua esperienza di uomo acuto e di intelligente osservatore. Personalità schiva e di poche parole, la sua vita è anche la storia di una aperta ribellione al fascismo e a ogni forma di conformismo, di acquiscenza, di supina accettazione alle imposizioni altrui. Morì a Bordìghera nel 1973 a ottantadue anni.

 
 

Treviso, 13 settembre 2010

 

 
 
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