A cura di Adriano Favaro
Speciale Dossier interamente finanziato da:
REGIONE VENETO - Assessorato alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta
Si ringrazia per la collaborazione:
Museo dell'Educazione - Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Scienze dell'Educazione - Centro di Pedagogia dell'Infanzia
Salvaguardare la memoria del mondo contadino
Ermanno Serrajotto
Assessore alle Politiche per la Cultura, all'Identità Veneta, e l'Istruzione
Il rapido evolversi della società nell'ultimo cinquantennio, assieme all'avvento della tecnica e industrializzazione spinta, hanno reso obsoleti i modi e tecniche tradizionali di coltura delle campagne, apportando sconvolgimenti anche nei rapporti interpersonali nelle famiglie patriarcali. Di fronte a tale rapida evoluzione, la tradizionale cultura contadina del mondo veneto ha rischiato così di scomparire, essendo cessata la trasmissione di una sapienza antica alle giovani generazioni. Con la perdita della tradizione hanno rischiato di essere dimenticate tecniche secolari di lavorazione in uso nel mondo contadino, quella cultura orale che senza l'ausilio di testi scritti aveva saputo tuttavia formare generazioni e generazioni di lavoratori della terra, l'innumerevole serie di termini legati a questa specifica cultura che arricchivano la lingua veneta, nonchè i canti e filastrocche che accompagnavano i diversi momenti del vivere sociale. Tra le diverse iniziative avviate da questo Assessorato alla Cultura e Identità del Veneto, finalizzate alla salvaguardia e valorizzazione della cultura contadina, della lingua veneta, della memoria e tradizioni nel loro insieme, rientra a pieno titolo anche la presente iniziativa rappresentata dalla serie di Dossier tematici che periodicamente vengono ospitati da Fotostorica con la finalità di offrire un sintetico strumento di riflessione e documentazione, sulle tematiche sopra indicate, in particolare a studenti universitari, ricercatori e insegnanti che nelle tante immagini fotografiche qui pubblicate hanno sinora trovato importanti spunti per le loro attività, essendo notorio che la fotografia sa essere anche un importante strumento per la comprensione della storia contemporanea. Il riferimento in questo caso va ai precedenti Dossier, accolti con grande favore dai lettori: "La Scuola nel Veneto"; "L'Emigrazione trevigiana e veneta nel mondo"; "Per una tutela del patrimonio fotografico sulla Grande Guerra" ecc. Il Dossier che viene ora proposto suggerisce appunto l'urgenza di tutelare, raccogliere, valorizzare tutto quel ricco patrimonio sommerso di ricordi che quasi ogni famiglia conserva riposti nei cassetti di casa: penso alle tante fotografie che rappresentano la storia di ogni famiglia e che in realtà costituiscono la più straordinaria testimonianza storica dell'evoluzione della nostra società veneta, della memoria storica ed umana della nostra gente. È una operazione che le diverse comunità locali peraltro hanno spesso già consapevolmente avviato e che meritano il plauso di questo Assessorato. Anche Fotostorica, importante progetto di tutela e valorizzazione del bene culturale "fotografia" merita senza dubbio un riconoscimento concreto per aver saputo precorrere i tempi nella grande operazione di valorizzazione della memoria. Per questo le nostre strade si incontrano sovente nell'operare per la cultura della nostra comunità.
Etnografia e fotografia storica
Angelo Tabaro
Direzione Cultura della Regione Veneto
In questi ultimi anni nel Veneto una maggiore sensibilità per la salvaguardia della memoria e tradizioni locali ha portato ad un sempre più vasto intervento degli Enti Locali, ma anche di numerosi collezionisti privati, nella raccolta, per fini culturali, di immagini fotografiche provenienti sia dagli album di famiglia, sia da fondi fotografici costituiti in decenni di lavoro dagli studi fotografici locali. È una operazione nella quale gli enti territoriali hanno per certi aspetti anticipato una politica nazionale in ritardo rispetto ai bisogni culturali del territorio: nel Veneto molte realtà si sono affacciate alla ribalta in questi ultimi anni a Padova, Verona, Treviso S. Polo di Piave, Ponte di Piave ecc. e le realtà che conservano la fotografia storica sono oggi davvero dei luoghi in cui sono disponibili informazioni significative sui diversi campi dell'attività umana. Le fotografie sono infatti anche reperti di memoria visiva di aspetti socio-culturali scomparsi, di modelli di comportamento, riti, forme di vita: da ciò discende una sempre più vasta tendenza alla utilizzazione delle immagini interessanti ai fini della ricerca etno-antropologica da parte di diverse discipline storiografiche: questo ci indica come sia importante e impellente una ancor maggiore opera di valorizzazione dei fondi di fotografia storica del Veneto. Inoltre, come è noto, il Ministero dell'Istruzione ha recentemente stabilito che la didattica della storia nelle scuole inferiori e superiori debba aprirsi anche allo studio della storia del '900, storia che oltre al documento scritto o archivistico, ha proprio nelle immagini il suo punto di forza per indagini, raffronti, riflessioni: la rivista Fotostorica, è pertanto uno tra gli strumenti che si auspica siano privilegiati dagli insegnanti anche per un uso didattico. Fotostorica in questi anni ha dimostrato infatti di avere tra i suoi originali e principali obiettivi proprio la salvaguardia della memoria veneta tramite le immagini, divenendo dunque utile strumento della politica culturale della Regione Veneto: l'auspicio è che in questa operazione siano ancor maggiormente coinvolti gli assessorati alla cultura delle diverse Province e Comuni del Veneto ma anche Imprenditori e loro Associazioni di categoria, gli Istituti di Credito, le Università.
La scuola del "Filò" Da Ulderico Bernardi, "Paese Veneto", Edizioni del Riccio, Firenze, 1986.
Il lavoro contadino ha pagato la prima industrializzazione, quella meccanica sul finire del secolo passato, e la seconda rivoluzione industriale, nel secondo dopoguerra, con l'automazione. Schiere di emigranti verso le Americhe prima, e legioni di addetti alla catena di montaggio poi, hanno lasciato le campagne e affollato le fabbriche.
Lasciavano nelle case sui campi i loro vecchi e tutto un patrimonio di esperienze ormai inutili davanti al progredire della plastica, allo scialo di energia a basso costo che muoveva ogni macchina indifferente all'andamento delle stagioni. Erano figli dell'età dell'aratro uomini e donne che avevano imparato a conoscere fin da bambini le diverse qualità dei legni e delle erbe, e i loro usi.
Quelle stesse mani che guidavano i buoi nell'aratura avevano costruito il giogo cavandolo da un unico pezzo di legno di noce o di acero campestre. Avevano prodotto il rastrello, accaparrandosi i diversi legni necessari: un ramo liscio di salice, in pianura, o di nocciolo in collina, per fare il manico. Meglio leggero che non fa sudare le mani e allevia la fatica. Per il pettine andava bene l'olmo, resistente all'usura. Infine, per i denti dei buoni pezzi di acacia in pianura, o di corniolo nelle terre alte, capaci di durare una vita senza consumarsi nelle fienagioni. Li costruivano la sera, nella stalla, specie d'inverno nelle interminabili serate al filò, dove altri intrecciavano il vimine, le donne cucivano e rammendavano, e qualcuno apprestava le attrezzature per l'allevamento dei piccoli animali, colombaie, arnie. Il confronto con i vicini in visita stimolava a far meglio, a cercare l'incastro più robusto e meno evidente, a studiare i legni più sani e ben stagionati. Poco a poco emergevano le tendenze: c'era chi si dimostrava più bravo a lavorare il legno, chi a mestieri di meccanica o più delicati.
Quando l'evolvere dei tempi lo ha consentito, dalle scuole di manualità contadina sono emerse legioni di piccoli imprenditori, capaci talvolta di crescere fino alla grande industria di oggi.
Di qui è venuta la minuta e diffusa industrializzazione delle Venezie, da questo patrimonio di risorse umane finalmente emancipato dalle strettezze dell'autoconsumo e da quella esosa supremazia borghese che aveva ignorato la cultura contadina e svilito la sapienza tradizionale nella subalternità.
Vent'anni fa tutto sommato, il quadro era ancora questo pochi operai concentrati nelle grandi fabbriche a Marghera, a Valdagno, a Monfalcone, e un esercito di contadini duramente impegnato a conquistare il pane.
Poi in dieci, quindici anni, la grande trasformazione la fine di un'epoca, la liquidazione delle mezzadrie, il dilagare della vocazione imprenditoriale nei mille laboratori artigiani e nelle centinaia di piccole fabbriche all'ombra del campanile del paese.
Le macchine hanno liberato l'uomo di molte fatiche per il pane, che incorpora oggi una minore quantità di sacrifici.
Ora, mentre il lavoro dell'uomo che guidava i buoi e l'aratro per aprire la terra al seme è compiuto in massima parte da una macchina.
Ora, che la fatica e il gesto largo del seminatore sono a loro volta sostituiti da una macchina, mentre la schiena il sudore e l'ansia del falciatore hanno trovato il loro sostituto meccanico.
Anche il peso del sacco di grano non grava più sulle spalle del mugnaio, e le braccia che impastavano quintali di pane la notte, regolano solo i tempi elettrici di un forno che si arrangia a cuocere quello che altre macchine hanno formato.
Ma oggi come trent'anni fa, come diecimila anni fa, quando forse fu inventato da un cacciatore fattosi contadino, il pane incorpora ancora, con il sole e la pioggia, con l'acqua e i sali della terra feconda, la sapienza dell'uomo e lo spirito del suo Creatore.
Treviso, Numero 27/28 Giugno 2004